Il nostro programma per un Trentino diverso

Sommario:

Dellaismo Patto di Milano Politiche governative Ambiente Innovazione Montagna Lavoro Solidarietà Autonomia Beni Comuni Democrazia

  1. Il modello trentino: la crisi irreversibile del dellaismo.

La pesante recessione economica che ha colpito l’Europa, l’Italia, il Trentino è destinata a durare e ad aggravarsi. Per il quinto semestre consecutivo la camera di commercio di Trento nell’illustrare l’andamento della crisi sottolinea il segno negativo del PIL nella nostra provincia. Anche se “ in ritardo rispetto al nostro Paese” la crisi economica ha pesantemente investito il trentino e per le connotazioni strutturali della nostra economia provinciale rischia di colpirci in maniera ancora maggiore che in altre regioni del Paese. Tutte le attività economiche della provincia, ad eccezione del commercio con l’estero, hanno da più di due anni saldi negativi.

La debolezza strutturale dell’economia provinciale, unita al pesantissimo attacco all’Autonomia (circa un terzo di trasferimenti in meno!) in un territorio dove il motore dio ogni attività economica è la Provincia, costituiscono un mix pesantissimo e preludono ad un forte ridimensionamento del Trentino, che da provincia fra le più povere d’Italia nel dopoguerra era arrivata ad essere tra le più ricche d’Europa negli anni ’90.

Il “modello trentino” ha conosciuto sotto la presidenza della giunta provinciale di Lorenzo Dellai il suo apice ed il suo crollo. Il Dellaismo ha avuto alcuni elementi strutturali precisi:

  • La concentrazione del potere nelle mani dell’esecutivo ed in particolare del suo Presidente

  • Lo spostamento fuori della provincia di ampie parti dei poteri e la costituzione di numerose agenzie e società pubblico/private a cui è stato delegato l’esercizio delle potestà pubbliche in settori strategici dell’economia (energia, patrimonio, edilizia pubblica, marketing provinciale, sviluppo economico, finanziamento alle imprese..). In gran parte di queste società è confluito un gruppo di imprenditori che insieme alla parte pubblica hanno gestito rilevantissime quote economiche del bilancio provinciale. Le forme di questo ingresso ( a capitale sociale bassissimo) hanno fatto sì che si sia trattato di un enorme processo di privatizzazione delle risorse pubbliche che ha favorito e reso possibile un ingente trasferimento di denaro pubblico verso il privato. O meglio verso i “soliti noti”. Ci troviamo di fronte ad un oligopolio collusivo che controlla il prevalente dell’economia pubblica e dello sviluppo. Una decina di società e di famiglie che hanno in mano tutte le società pubbliche, le banche, il credito, le aree di sviluppo, in pratica tutto.

  • Il predominio della rendita fondiaria, della rendita urbana nell’economia provinciale, attraverso innumerevoli forme ed iniziative per la trasformazione e la valorizzazione del territorio. La rendita è stata negli ultimi venti anni il vero motore dell’economia provinciale. Motore potenziato dal ruolo della Provincia e dalle sue risorse economiche dovute ai trasferimenti statali in virtù delle competenze acquisite attraverso lo statuto e le norme di attuazione.

Il Dellaismo è stato anche, e sarebbe sciocco non rilevarlo, liberismo temperato ovvero un modello che pur non discostandosi dal neo-liberismo imperante, ha prodotto una parziale redistribuzione delle risorse e generato livelli di consumo maggiori che nel resto del paese. Tutto questo è avvenuto non attraverso politiche sociali innovative e particolarmente qualitative, ma in virtù delle risorse che l’autonomia ha prodotto sul territorio. Se c’è un dato che il dellaismo ha prodotto è purtroppo la fine o meglio il profondo ridimensionamento di un volontariato sociale che negli anni 70 / 80 era stato settore vivo e portatore di politiche innovative, mentre nel quasi ventennio dellaiano ha conosciuto fortissimi fenomeni di involuzione, di omologazione, di collusione con il palazzo.

La scelta di firmare il patto di Milano e poi di aderire alla lista Monti ( “il governo più centralista ed anti-autonomista della storia d’Italia” per usare un’espressione di Durnwalder, governatore del Sud-Tirolo) divenendone capogruppo alla Camera dei Deputati, sono poi l’eredità negativa che Dellai lascia al Trentino in termini di difesa dell’Autonomia.

  1. Il Patto di Milano è stato presentato come il modo per difendere la nostra autonomia dal bislacco federalismo a trazione lombardo veneta che ha prodotto le norme nazionali in materia. Il modo come si è arrivati alla sottoscrizione di quell’atto (un’iniziativa solitaria del Governatore senza alcuna discussione pubblica!) ha impedito che dei contenuti dell’accordo si discutesse a fondo e per tempo. Innanzitutto sul contesto e sulla opportunità di firmare un accordo sulla finanza provinciale in attuazione del dettato Costituzionale con un Governo dichiaratamente nemico delle Autonomie Speciali e delle autonomie locali in genere. In secondo luogo di farlo in piena crisi e recessione economica accettando il principio dell’aumento delle competenze primarie della provincia di Trento (a cominciare dalla Università e dagli ammortizzatori sociali) a parità di trasferimenti statali, aderendo di fatto alle critiche di chi parlava di autonomia ricca e privilegiata. In altre parole aderendo al concetto che i trasferimenti alla PAT nel passato erano talmente sovrabbondanti da permettere che ora nuove competenze siano attribuite senza alcun aumento dei trasferimenti statali.

Sulla base dei disposti del Patto di Milano alla Provincia andranno annualmente i 9/10 di qualsiasi imposta e dell’erario statale afferente al Trentino. Lo Stato invece si impegna a chiudere, attraverso il versamento in più trance, i propri debiti verso la Provincia e dovrà versare, entro il 2016, circa due miliardi di €, di quote variabili non trasferite sulla base della precedente normativa finanziaria (si tratta di un trasferimento annuo di 422 milioni di €). La Provincia Autonoma di Trento sarà comunque sotto posta al Patto di Stabilità e dovrà concorrere a politiche di aiuto verso le altre regioni del paese e lo Stato, sulla base di una contrattazione annuale con il Governo. Si noti che se la contrattazione non avrà esiti graditi al Governo medesimo, comunque prevarranno le linee decise per le regioni ordinarie!

Proprio in virtù di questo il governo Monti ha trattenuto per sé, attraverso il meccanismo della riserva statale, i benefici che dovevano arrivare al trentino dalle manovre economiche a ridurre di circa un terzo il bilancio provinciale. Sempre attraverso il patto di Milano infine viene creato un istituto cuscinetto verso i comuni limitrofi alle Provincie di Trento e Bolzano. In gran parte, o meglio nella quasi totalità, si tratta di quei comuni e di quelle provincie (a cominciare da quella di Belluno) che negli anni scorsi, mediante referendum popolare, avevano chiesto di aggregarsi al Trentino o al Sud Tirolo: 40 milioni di euro annui a carico di ciascuna delle provincie autonome da elargire per opere pubbliche. Una sorta di onerosa elargizione allo scopo di scongiurare modificazioni territoriali, e per imbonire le legittime aspirazioni autonomistiche.

Numerosi sono gli elementi che portano a dire che la firma dell’accordo di Milano è stata un errore politico grave. In primis il decisionismo del Governatore, che, se ha il merito di aver posto il problema del come dare attuazione alla norma sulla finanza provinciale ed i rapporti con lo Stato, ha il demerito di averlo fatto in splendida solitudine e di aver lanciato i suoi strali a chi ha provato a farglielo notare. Qui si innesta un primo problema politico, quello relativo ai poteri del Governatore, che , ed in questa occasione è evidente a tutti, vanno bilanciati da un contropotere del Consiglio Provinciale a cui va ascritta la competenza in merito a decisioni di questa portata. L’aver firmato un accordo in piena recessione senza pensare ad indicizzarlo, e quindi se non altro a preservarne gli effetti nel tempo, è il secondo degli errori di Dellai. Un errore originato dalla retorica berlusconiana che ha sottovalutato la crisi e che la voleva finita alla fine del 2009, posizione questa che è stata anche della Giunta Provinciale fino a non molto tempo fa (basta pensare ai dibattiti da questa promossi nell’ambito del Festival della Economia, sia nel 2010 che quest’anno). Di vero e proprio peccato mortale si deve invece parlare infine relativamente al terzo errore del Presidente: aver accettato di legare i trasferimenti statali alla crescita della economia locale in termini di PIL. Non serve scomodare Latusche, e i suoi scritti sulla decrescita felice, per capire che si tratta di una scelta che avrà conseguenze pesanti per il Trentino.

Il perché è presto detto. La economia della provincia Autonoma di Trento è in evidente crisi strutturale, dipende direttamente (trasferimenti alle imprese) ed indirettamente (contributi ai privati ed appalti) dalle politiche pubbliche. L’edilizia e le costruzioni, così come l’estrattivo e l’autotrasporto, sono in piena crisi recessiva e per come si sono sviluppate in Trentino sono strategicamente in contrasto anche con il più pallido concetto di sostenibilità ambientale. L’economia è fortemente finanziarizzata ed a comandare è la rendita fondiaria e immobiliare, il tutto dipende dalle commesse e dalle infrastrutturazioni pubbliche e dalle speculazioni sul territorio. Oggi crescita, nel linguaggio comune, ma anche in quello dellaiano significa “grandi opere” che in Trentino sono sinonimo di disarticolazione ambientale. L’intervista di sabato 3 settembre 2011 del Trentino al Governatore Dellai è su questo assolutamente chiarificatrice quando afferma che “Metroland, e le grandi opere, sono strategiche per il Trentino e vanno difese anche in una fase di taglio delle risorse della autonomia”.

E’ mancata una seria riflessione sulle conseguenze prodotte da quella vera o propria overdose di finanziamenti alle attività economiche fatti dalla Provincia all’inizio della crisi, allorquando la PAT stanzio per l’economia provinciale l’equivalente di quanto stanziato dal Governo nazionale per tutte le altre regioni d’Italia. Il risultato è stato tutt’altro che confortante ed oggi i dati della nostra economia ben poco si discostano da quelli nazionali. Più di un miliardo di finanziamenti straordinari sono riusciti a garantire una performance delle economia trentina di soltanto un paio decimi di punto migliore di quella del resto del paese! Questi risultati dovevano essere il campanello di allarme circa la crisi strategica della nostra economia provinciale invece è continuato tutto come prima.

E dal 2010 ad oggi la situazione ha conosciuto soltanto saldi negativi del PIL e crisi occupazionali con una crescita della disoccupazione del 200%, chiusura di moltissime attività.

Invece nessuna riflessione su questo è emersa.

Il modello di sviluppo trentino non si discosta da quello nazionale e le mission delle imprese pubbliche trentine è improntata a filosofie liberiste, magari un po’ più temperate. L’impresa pubblica trentina è dentro le centrali nazionali delle multiutility e ne condivide le politiche di privatizzazione dei beni comuni come le linee di accumulazione (Dolomiti Energia è in Iniziative urbane, la società immobiliare che opera sull’area Michelin e non è l’unico esempio!).

La crescita è diventato il mantra della Giunta Provinciale e del suo Presidente quando invece il problema sarebbe quello di pensare in Trentino ad un nuovo modello di sviluppo improntato sulle risorse locali, su politiche energetiche alternative, sul rilancio industriale nei settori del legno, della energia, del turismo e dell’agroalimentare, delle costruzioni, a cominciare dalla edilizia antisismica fino alle case clima, dal riequilibrio territoriale, sulla innovazione di processo e di prodotto e sulla ricerca.

Oggi in Trentino la parola “Autonomia” è una parola vuota se non torna ad essere, come è stata in origine, sinonimo di montagna e se non assume i limiti della crescita come limiti naturali ed invalicabili, pena la crisi ambientale e climatica; se non pensa allo sviluppo in termini qualitativi ma quantitativi.

La nostra era una terra dove dalla montagna si emigrava verso il centro Europa, la Svizzera, le Americhe, l’Australia e l’autonomia era rivendicata come autogoverno, come mezzo per la gestione positiva delle risorse, come modo per poter vivere in montagna, per costruirsi un futuro.

L’autonomia è la risorsa per fare una scelta del genere, per riprendere un ruolo guida dei processi reali nazionali, per rilanciare il Trentino come laboratorio politico e sociale, di qualità ambientale.

Ormai bisogna andare sopra i 1500 metri per aver a che fare con paesaggi non antropizzati, dove non sia prevalente l’effetto città, o l’effetto pianura e questo effetto sta contemporaneamente producendo anche una mutazione antropologica delle persone, che divengono disattente ai luoghi e consumiste del territorio e del paesaggio, incuranti delle conseguenze ambientali dei loro comportamenti.

Un nuovo modello di sviluppo infine impostato su di una grande partecipazione ed un grande controllo popolare, una vera e propria riforma morale e sociale.

Il Patto di Milano deve essere rinegoziato (anche se ci rendiamo conto che non sarà molto facile farlo fra breve). La sua firma è infatti un duplice errore strategico. Per un verso perché sposa la crescita e quindi la dimensione quantitativa della economia come motore del futuro della autonomia, in secondo luogo perché attraverso l’assunzione della crescita come motore della autonomia pone le condizioni di un pesante decadimento ambientale del Trentino. La montagna è per definizione ambiente fragile e delicato che si sposa con qualità non con quantità.

La revisione del Patto di Milano deve mettere al centro proprio la montagna, la difesa della biodiversità come progetto strategico di difesa dei territori anche di pianura, il costo superiore di politiche di questo tipo rispetto a territori con diverse caratteristiche morfologiche, l’urgenza di queste politiche. In altre parole quello che è uno degli elementi centrali della nostra autonomia, quello che crediamo sostanzi la nostra specialità, accanto alla nostra storia di terra dominata dall’Austria per centinaia di anni dove l’autonomismo ha trovato la capacità di essere elemento costitutivo anche della lotta di liberazione dal nazifascismo, come testimonia il documento a firma Pasi e Manci sulle prospettive del CLN .

  1. Le manovre economiche di Berlusconi prima, e di Monti poi, stanno producendo un taglio delle risorse dell’autonomia di circa un terzo del totale. Gli effetti economici ricadranno sul Trentino nella loro totalità a cominciare dal 2015 quando l’effetto di ammortizzazione dovuto dal trasferimento dei debiti del governo verso il trentino dovuti ai passati mancati trasferimenti di quote variabili si esauriranno.

C’è inoltre da considerare che una parte dei furti all’Autonomia fatti da Monti e da Berlusconi ritornino alla provincia per effetto dei ricorsi alla corte costituzionale operati dalle giunte provinciali , facendosi forti delle palesi violazioni non solo dello Statuto ma addirittura del patto di Milano che i governi di centro-destra e delle larghe intese hanno operato. Questa drastica riduzione delle risorse deve comunque essere il luogo per riformulare le prospettive economiche del Trentino. A minori risorse deve corrispondere riqualificazione e ridefinizione della spesa oltre ovviamente ad una battaglia nei confronti del governo nazionale che rilanci le ragioni dell’Autonomia.

Una moratoria delle grandi opere è quindi il primo elemento programmatico di un Trentino diverso.

In questi anni – altro tratto caratteristico del dellaismo, ma anche tragica conseguenza del patto di Milano – le politiche di sviluppo della provincia sono state incentrate sulle grandi opere. La necessità di una moratoria si motiva poi con il fatto che l’effetto combinato di taglio dei trasferimenti e l’uso delle risorse per grandi opere non potrà che produrre in trentino un pesante attacco alle condizioni sociali a cominciare dal lavoro, alla sanità, alla cultura, all’istruzione…

E’ nella direzione opposta che bisogna muoversi contrastando con una vera e propria sobrietà solidale i gigantismi, le dimensioni fuori scala, le grandi ed inutili opere finalizzate a mantenere potenti e ricchi i signori dell’oligopolio collusivo. Da questo punto di vista mratoria delle grandi opere significa anche rivendicare che il tesoretto della A22 venga dato alle province e nn utilizzato per politiche come il TAV che produrranno solo nuoi lauti guadagni per le multinazionali ed i signori dell’oligopolio collusivo, restituendo alle popolazioni dissesto ambientale e degrado.

E’ su che modello di sviluppo, su che Autonomia Speciale, su che Trentino che va aperta la discussione e la sfida democratica.

Abbiamo detto che il modello di sviluppo provinciale è strutturalmente in crisi perché palesemente in contrasto con una sempre più necessaria riconversione ambientale. La strada scelta in questi anni è stata invece quella di accettare la sfida della competitività territoriale e di dotarsi di strumenti urbanistici, economici, sociali conseguenti.

La competitività territoriale è la morte del Trentino perché lo trasforma in pianura azzerando la sua unicità di terra di montagna (“perla delle alpi” dice l’inno scritto dalla moglie di Cesare Battisti), in territorio di attraversamento su cui scaricare i costi ambientali (come vorrebbe il Ministro Lupi attraverso la PIRUBI o l’Alta Velocità) di chi si concepisce come succursale a basso prezzo della economia tedesca.

Le parole chiave di un Trentino diverso devono essere innovazione, montagna, ambiente, lavoro, solidarietà, autonomia, beni comuniedemocrazia. Attorno alla declinazione di queste otto parole è possibile pensare ad un diverso modello di sviluppo provinciale.

Innovazione: richiama al ruolo della università e della ricerca, allo sviluppo della banda larga e delle reti telematiche, delle scoperte scientifiche e quindi al rendere possibili politiche di riequilibrio territoriale, di decongestionamento della città e del fondovalle, ma anche alle nano tecnologie ed alla loro applicazione in molteplici campi delle scienze umane, o la ricerca su materiali, senza dimenticare la necessità di approfondire e riflettere sulle scienze umanistiche, sulla democratizzazione della vita quotidiana, sulle relazioni fra i popoli e fra le persone.

Innovazione vuol anche dire lavorare perché attorno alla ricerca, nasca una industria locale non inquinante, che innovi sul terreno delle costruzioni, del risparmio energetico, delle case antisismiche, che progetti una architettura di montagna ambientalmente armonica, che produca ricadute territoriali nel settore delle energie alternative, che strutturi seriamente la filiera del legno, che lavori allo studio ed alla messa in opera di infrastrutturazioni alternative e sostenibili, etc. Si tratta di strutturare in maniera diversa il rapporto fra università, ricerca, ed economia locale, di pensare davvero alle sue ricadute, troncando invece quelle relazioni che attualmente esistono fra alcuni settori universitari e della ricerca e il settore bellico e degli armamenti.

A questo proposito va ridiscusso il ruolo della Tecnofin e di Trentino Sviluppo favorendo la nascita sul territorio di un’industria aperta all’innovazione e alla ricerca.

Montagna: oltre ad essere una delle parole chiave di un Trentino diverso né è anche la filosofia improntata alla difesa attiva del territorio, ad un vero decentramento territoriale delle funzioni, al riuso dell’esistente, al ripopolamento di territori svuotati da politiche di antropizzazione del fondovalle e della città. Integrazione del reddito per garantirne la vita agli abitanti e per favorire le economie locali, filiera agroalimentare, ritorno e riscoperta di colture e produzioni abbandonate dalla industrializzazione della agricoltura e dall’abbandono della montagna, turismo enogastronomico, pratiche sportive compatibili con il territorio e che rispettino i limiti dell’ambiente, agricoltura a chilometro zero, biologica, biodinamica e non monoculturale, filiera dei prodotti a cominciare dalla mela e dai suoi derivati, favorendo la messa a disposizione anche a fini occupazionale per giovani o disoccupati delle terre del demanio pubblico al fine di un loro utilizzo per produzioni agricole o zootecniche o di riscoperta di prodotti locali. Montagna è poianche parchi naturali, istituzione di nuove aree protette a cominciare dal Lagorai, ma anche collaborazione transregionale e transfrontaliera, pensare di trasformare a breve dapprima i territori patrimonio mondiale della umanità (come voluti dall’UNESCO) e poi tutti i territori delle Alpi dalla Engadina alla Slovenia, passando per Trentino, Sud Tirolo, alto Veneto e Friuli, il Tirolo e la Carinzia, in una Regione europea delle Alpi e delle Dolomiti, come luogo di socializzazione e come luogo di relazione economica sociale.

Una proposta questa che si contrappone alla recente costituzione dell’Euregio del Tirolo fra Trentino, sud Tirolo e Tirolo austriaco, iniziativa fra il nostalgico pangermanista e il tentativo di mettere insieme alcune delle zone forti e finanziarizzate dell’Europa. Significa in altre parole pensare al Trentino come luogo desiderabile e non come una pianura da cementificare, avere del verde e degli alberi un concetto che sia urbanistico ed ambientale e non considerarli luoghi vuoti da riempire, pensare alla sobrietà anche come rapporto con la natura.

Ambiente: L’ambiente è il collante delle parole chiave per un Trentino diverso, è il tratto di congiunzione fra le parole chiave. E’ necessaria una profonda ristrutturazione ambientale del nostro territorio che vive una pesante involuzione ambientale che ha usato il termine di sostenibilità non per definire i limiti della crescita e della antropizzazione ma per narcotizzare o imbrogliare molte delle contestazioni che venivano e vengono dalla società civile. Parlare di riconversione ambientale non significa dipingere il Trentino a tinte fosche o non vedere che esistono ancora grandi aree ambientalmente ricche e di qualità ma pensare all’ambiente ed ai limiti della natura come limiti non violentabili a piacimento, alle leggi ambientali come vincoli positivi da cui non derogare in continuazione alzando i limiti ed i coefficienti (come è avvenuto in numerosi settori a cominciare dallo snaturamento della VIA o dalla cancellazione dei vincoli del decreto Galasso o ancora con le deroghe sulle diossine alle acciaierie di Borgo). Significa rivedere la pianificazione urbanistica che per quanto riguarda il PUP è costruita sulla TAV e la TAC, e supportata da una legge urbanistica provinciale che ha fatto propri tutti i parametri della deregulation urbanistica contenuta nella controriforma LUPI, all’insegna dello jus edificandi del territorio, della pianificazione senza quantificazione delle reali esigenze ma improntata alla cementificazione selvaggia e alla crescita esponenziale di Trento. Significa pensare ad un piano casa provinciale dove la preminenza sia data alla casa pubblica, attraverso il riuso dell’esistente e comunque utilizzando per la realizzazione di alloggi ITEA aree già destinate come residenziali dentro i PRG vigenti, cancellando quella norma razzista che vuole liste separate per gli stranieri, come gli attuali regolamenti per le assegnazioni che attraverso il meccanismo dell’ICEF occultano la domanda casa e la rendono inaccessibile ai lavoratori. Significa dire no alla stradomania ed alle grandi opere viarie e lavorare sul concetto di mobilità e non su quello di viabilità, potenziando i mezzi di trasporto pubblico, elettrificando la ferrovia della Valsugana e trasformandola in metropolitana di superficie nel tratto Trento Borgo seppellendo per sempre Metroland e le grandeur viabilistiche.

Ambiente significa poi in Trentino energie rinnovabili e risparmio energetico, attraverso la solarizzazione delle proprietà pubbliche e la adozione di normative edilizie che dapprima favoriscano le case clima, le coibentazioni, il risparmio energetico fino a rendere in poco tempo obbligatorie queste normative. E in questo quadro è pensabile anche con l’ausilio della Università e della FbK ad una filiera industriale per la produzione sia di pannelli fotovoltaici che di motori per la cogenerazione da alimentare a biomasse, e alla ricerca per ridurre l’impatto dell’idroelettrico sulla natura , etc. Ed ancora significa dare nuovo impulso alla Comunità delle Alpi, adottandone davvero i deliberati, e dando vita ad una politica sul clima non propagandistica ma reale.

Lavoro: il lavoro è il motore delle parole chiave di un diverso Trentino possibile. La piena occupazione e la dignità del lavoro sono alla base di un diverso modello di sviluppo. Le competenze della Autonomia vanno usate in primis contro la precarietà togliendo al trentino il primato di essere una delle province dove nella pubblica amministrazione e più in generale ne lavoro la precarietà prevale. Nessuna autorizzazione pubblica deve essere rilasciata ad aziende che usano il lavoro precario nei settori economici di competenza provinciale. Le aziende che hanno delocalizzato o intendo farlo devono restituire i contributi pubblici percepiti negli ultimi dieci anni. Va rivista e riformulata la politica dei leasing back che ha prodotto speculazione e finanziamenti ai signori dell’oligopolio collusivo ( vedi le vicende Whirlpool e Marangoni…). Va realizzata una vera e propria reindustrializzazione fondata sulle risorse locali e le loro trasformazioni contrapponendosi ad un’industria locale spesso di rapina fondata sulle sottoproduzioni delle multinazionali e sull’accalappiamento dei benefici pubblici. Un piano apposito e speciale deve essere pensato per favorire la occupazione femminile adattando i servizi di welfare alle donne che lavorano ed alle loro esigenze. Il Trentino è al vertice nazionale delle provincie dove prevale il lavoro precario e questo è uno dei meccanismi per occultare statisticamente la domanda di lavoro dignitoso anche salarialmente. Va rivista la normativa sul reddito di garanzia per arrivare a definire un reddito di cittadinanza, costruito usando anche forme materiali di sostegno al reddito, anziché soltanto monetarie, favorendo la riqualificazione professionale e pensando a forme che garantiscano lo studio ed il lavoro concorrendo in questo modo alla lotta contro l’abbandono scolastico e per aumentare la percentuale di laureati nella nostra Provincia.

Va rivista la normativa sugli incentivi alle imprese, premiando quelle ambientalmente non inquinanti e la innovazione di processo e di prodotto. La attuazione della competenza sugli ammortizzatori sociali oltre a prevedere elementi aggiuntivi alle tutele nazionali deve essere universalistica ed indirizzata a tutti i lavoratori non solo a quelli residenti. Vanno istituite e fatte rispettare norme che definiscono i salari minimi per chi lavora sul territorio provinciale, a cominciare dalle aziende che concorrono ad appalti pubblici. Va rivista la normativa sugli appalti introducendo norme vincolanti a tutela della professionalità e del lavoro dei dipenderti, contro gli appalti spezzatino, o al massimo ribasso e va bandita la utilizzazione di forme di appalto la cui aggiudicazione avvenga attraverso la media mediata, fonte di accordi truffaldini fra le imprese.

Infine va avviato un percorso di ripubblicizzazione delle tante partecipate della provincia che oggi svolgono ruoli fondamentali per indirizzare le politiche industriali, dei servizi e della pubblica amministrazione.

Solidarietà: la solidarietà è l’ingrediente principale delle relazioni fra le persone e delle politiche per chi pensa ad un diverso Trentino possibile. Declinare la parola solidarietà richiederebbe un libro di proposte e di politiche, dobbiamo farle tutte nostre da quelle sulla immigrazione a quelle contro il saccheggio delle risorse dei popoli impoveriti, da quelle che propongono di stare con chi soffre e lotta per le libertà, ed ancora a quelle che operano per rimuovere le povertà materiali e non.

La solidarietà è l’elemento di coesione necessario per pensare ad un Trentino diverso, perché solo attraverso l’assunzione di comportamenti solidali e la condivisione degli obiettivi, la partecipazione ed il controllo sulla formazione delle volontà politiche, sono proponibili stili di vita sobri; è insomma possibile cementare quel blocco sociale che può dare vita al processo politico che auspichiamo.

La solidarietà va declinata anche in politiche strutturali, in veri è propri cambi di paradigma e quindi solidarietà significa operare per dare sostanza ad una comunità plurietnica, alle città plurietniche che tengano conto che ormai sui nostri territori operano e lavorano quasi il 15% di persone di etnie diverse; solidarietà significa comunità e società senza barriere architettoniche e dove le diverse abilità sono non solo astrattamente riconosciute ma hanno possibilità di agire sul territorio in totale autonomia. Solidarietà significa città dei e per i bambini e per le giovani generazioni…

Infine, ma non per importanza, solidarietà significa ruolo centrale delle donne, politiche per la loro emancipazione, critica dei ruoli predefiniti, servizi sociali reali …

E’ un compito immane ma è anche il modo concreto di dare attuazione ad un reale cambiamento.

Autonomia: l’Autonomia è la forma di governo più vicina e adatta ad un processo di cambiamento del modello di sviluppo come quello che proponiamo. L’Autonomia va immediatamente relazionata con forme proporzionali di rappresentanza e con la democrazia partecipativa, forma di controllo e di indirizzo popolare circa l’utilizzo delle risorse collettive e dei bilanci pubblici.

Da più parti si parla di urgenza di un terzo statuto di autonomia del Trentino Alto Adige/ Sud Tirolo. E’ una sfida che va positivamente raccolta ed in questo senso grande interesse va dedicato al tema a cominciare dal dibattito interno alla SVP circa la “autonomia integrale” (il motto è identico a quello proposto dall’ASAR in occasione del varo del primo statuto).

Strisciante periodicamente torna a proporsi l’ipotesi di abolizione della Regione; posizione che noi contrastiamo. Si tratta, il nostro, di un disaccordo non legato a preoccupazioni meramente egoistiche o alla paura che la Autonomia trentina non si motiverebbe in presenza di due province distinte.

Su questo è bene essere chiari. La nostra adesione alla Autonomia Speciale, pensa a questa come forma di governo da estendere a tutto il territorio nazionale, dando attuazione piena a quel regionalismo che è dentro la carta Costituzionale, e lasciando alla Stato Centrale funzioni delegate dalle Regioni. L’attuale ordinamento è un ordinamento centralista che delega il potere attraverso il decentramento delle funzioni, l’impianto bislacco federalista introdotto dai leghisti non cambia la sostanza. Il titolare delle competenze è lo Stato che può delegarla ad altri. Noi pensiamo invece che il titolare delle competenze siano le autonomie locali, e che possono gestirle in proprio o in forma associata. Autonomia insomma come opposto di centralismo e sinonimo di autogoverno popolare.

Fra l’altro, in una fase di spostamento dei poteri fuori dal controllo democratico, il rivendicare il controllo popolare e dal basso assume ancora maggiore valenza strategica.

Nello specifico poi la Regione, anche se svuotata di competenze è oggi uno strumento importante non solo per le relazioni interetniche ma anche per il coordinamento di politiche per la montagna e per le Alpi ed in prospettiva è uno degli elementi costitutivi di quella regione Europea delle Dolomiti e delle Alpi che è per noi un progetto essenziale se al centro vogliamo mettere i valori del lavoro e della montagna.

Fatto salvo il diritto alla autodeterminazione del Sud Tirolo, in verità le spinte alla cancellazione della Regione trovano origine in Alto Adige in progetti neopangermanisti che guardano all’aggancio alle zone economicamente forti dell’Europa, mentre in Trentino a posizioni neo centraliste o leghiste.

Negli ultimi venti anni l’Autonomia Trentina si è in parte omologata alle scelte nazionali, e alcuni fenomeni di caduta della partecipazione popolare hanno avuto origine anche attraverso questa omologazione. In particolare il settore della organizzazione istituzionale e della rappresentanza ha subito il fascino della sbornia maggioritaria. E si è passati da forme di grande partecipazione popolare, che avevano coinciso con la estensione del sistema elettorale proporzionale nei comuni sotto i 1000 abitanti, a situazioni come quella attuale dove il maggioritario e la delega ai Sindaci, più ancora che alle Giunte, della totalità dei poteri fa si che in circa 60 comuni su poco più di 200 le liste presentate siano una sola per comune, con l’azzeramento della dialettica politica. Il fenomeno del calo della partecipazione è in realtà un fenomeno esteso alla quasi generalità dei comuni provinciali, dove va pensato un passo indietro rispetto alle scelte maggioritarie circa la rappresentanza ed una riforma delle attribuzioni dei poteri, rimettendo nelle mani dei Consigli Comunali la titolarità delle decisioni; contrastando anche quel furore populista che, invece di contrastare i costi della politica finisce per azzerare la democrazia ed il controllo popolare.

Abolire le Comunità di valle per dare vera autonomia e poteri organizzativi ai Comuni per avviare dal basso percorsi condivisi e democratici di unificazione e potenziamento dei servizi di pubblica utilità come la gestione e la razionalizzazione dei beni comuni.

Accanto a questo tutto il tema dei beni comuni può trovare nel nuovo statuto grande rilievo, pensando a normarli con legge costituzionale come beni indisponibili della collettività, a toglierli dal mercato ed a ricercare forme pubbliche e popolari di loro gestione e controllo. Può essere questa la strada per una ripubblicizzazione non solo dell’acqua ma anche dell’energia, del territorio, dell’aria e della conoscenza.

Beni Comuni: i beni comuni sono la ossatura di un nuovo modello di sviluppo provinciale. Attorno alla loro difesa ed alla loro gestione si costruiscono infatti gli assi portanti di una politica economica ed ambientale diversa. E si determina anche un diverso ruolo degli enti locali, chiamati a difendere ed a gestire positivamente le risorse, riportando in capo al pubblico quello che le privatizzazioni, le liberalizzazioni, l’adesione al pensiero unico liberista ha dato, spesso regalandolo, ai privati.

Il processo di ripubblicizzazione dei beni comuni ha bisogno di alcuni passaggi e di una grande mobilitazione popolare come è stato per l’acqua, ma ha bisogno anche di un grande controllo popolare, pena il farsi scippare con escamotage e furbizie. Già a cominciare dall’acqua è necessario che le forme societarie che vengono scelte per la ripubblicizzazione, voluta dal referendum popolare, escludano le società di capitali o di persone e che escludano anche la partecipazione di privati anche in forma minoritaria.

In Trentino l’energia è una delle maggiori risorse. Si tratta di una risorsa privatizzata e data in mano a SPA a maggioranza pubblica (in primis la Trenta e Dolomiti Energia), che sono partecipate ma in realtà strategicamente dirette dai privati. In linea con il percorso referendario e per una sua parziale estensione agli altri beni comuni ed in particolare al settore energetico e dei rifiuti va sostenuto da subito la totale pubblicizzazione delle compagini azionarie di quelle società e la estromissione dei privati e la loro graduale trasformazione in aziende pubbliche non a scopo di lucro. E’ questa la condizione perché si avvii un piano energetico provinciale incentrato sulle energie rinnovabili e che gli utili della attività energetica siano totalmente reinvestiti sia ad abbattimento dei costi delle tariffe che per politiche energetiche di solarizzazione delle proprietà pubbliche.

Più complesso è il ragionamento sul territorio dove va studiata una normativa sul diritto dei suoli, partendo da quella in vigore a Bolzano (il famoso fifty, fifty) che contrasti lo jus edificandi imperante. E poi si tratta di ripensare complessivamente alla legislazione urbanistica provinciale, mettendo al centro la salvaguardia dei territori, il blocco del consumo di nuove aree (cercando le forme per impedire le storture che la pianificazione esistente ha introdotto), politiche abitative pubbliche attraverso il riuso dell’esistente e il decentramento delle funzioni e dei servizi pubblici..

Cosi anche per il settore della conoscenza e dell’accesso alla conoscenza va pensato ad un insieme di norme contro il copyright, per l’introduzione di sistemi open source, per l’accesso gratuito alla rete ed a internet, per l’estensione della ADSL sui territori, a favore delle reti pubbliche di banda larga, fibra ottica, autostrade telematiche etc).

Il sistema scolastico trentino è caratterizzato da un cospicuo finanziamento, in forme dirette ed indirette, alle scuole private in prevalenza confessionali.

A nostro avviso si tratta di un sistema fondato sulla distrazione di risorse pubbliche che dovrebbero essere impiegate per la scuola di tutti e non per garantire particolari scelte familiari ed individuali. Oggi la scuola pubblica sta subendo anche in Trentino forti tagli di risorse ai fondi di Istituto, innalzamento delle ore frontali di insegnamento, riduzione delle ore disponibili per il sostegno.

Sull’edilizia scolastica sono pendenti speculazioni immobiliari e della rendita finanziaria, come nel caso del più che ventennale affitto dell’Istituto d’arte “A. Vittoria” di Trento alla Società “Trifoglio” dal costo di oltre 850.000 Euro all’anno ed il progetto di trasferimento degli istituti tecnici, di via Brigata Acqui e di Via Barbacovi, per lasciare il posto a speculazioni immobiliari nel centro della città di Trento.

Noi siamo contrari a queste politiche, riteniamo che i fondi pubblici vadano alle sole scuole pubbliche nel rispetto dell’art. 33 della Costituzione – ciò eviterebbe sicuramente i tagli attuali delle risorse – e che gli edifici privati adibiti ad uso scolastico, con affitti esorbitanti a favore della rendita immobiliare, vengano requisiti dalla P.A.T per ragioni di interesse collettivo.

Noi siamo per una scuola pubblica, laica, dove le risorse siano finalizzate a garantire il diritto allo studio a chi si trova in situazioni di difficoltà sociali ed economiche e dove si combatta realmente la selezione sociale ed i casi di disagio vengano più equamente distribuiti e non concentrati, come ora accade, solamente in alcuni ordini di scuole.

Democrazia intesa come partecipazione attiva dei cittadini alle scelte della politica e alla gestione della pubblica amministrazione. Le democrazia delegata continua a mostrare i suoi limiti nel favorire la partecipazione democratica, e da qualche anno prima con il maggioritario nei comuni e poi con le leggi elettorali a cominciare dal porcellum, ha svolto un ruolo di incentivazione all’astensione e di allontanamento dalla politica dei cittadini.

Vanno inserite nella normativa provinciale forme di democrazia diretta come strumento di controllo e di partecipazione dei cittadini, per responsabilizzare parlamentari ed amministratori e per rilanciare la partecipazione attiva dei cittadini non solo alla gestione della cosa pubblica ma anche per decidere su scelte che vanno ad incidere sul modello sociale . Per questo abbiamo sostenuto e facciamo nostre le proposte avanzate dal movimento “democrazia diretta” che ha raccolto migliaia di firme per introdurre nuove forme di democrazia e di controllo popolare.

La Democrazia deve essere intesa anche come sobrietà della politica è per questo che chiediamo non di ridurre la partecipazione diminuendo gli eletti ma di tagliare drasticamente i privilegi e gli emolumenti di chi è chiamato a responsabilità di governo ed amministrative.

Pensiamo che la retribuzione massima di un consigliere provinciale sia quella risultante dalle media delle retribuzioni del territorio che amministrano (circa 3500 euro) e direttamente collegata a questo indicatore e assorbendo altre retribuzioni derivanti da altre attività economiche..

Infine la democrazia richiede trasparenza e sobrietà e quindi le tutte le spese degli organi istituzionali, dei gruppi politici e dei singoli consiglieri devono essere documentate ed vanno eliminate quelle forme di privilegio oggi esistenti, Va imposto a tutte le società controllate o partecipate della Provincia (anche a quelle in cui il capitale sociale provinciale è di minoranza) l’obbligo di pubblicare non solo le retribuzioni degli amministratori e dei dirigenti ma anche gli eventuali benefit dei vari amministratori.

Va posto un tetto retributivo anche ai manager delle società pubbliche e/o partecipate dall’ente pubblico.

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Un commento

  • Guido

    Da troppo tempo non si sente in Consiglio Provinciale una voce forte e coerente a difesa, dello stato sociale, dei diritti, dell’ambiente e del lavoro per tutti. Una voce di denuncia con iniziative che riescano a far emergere le storture, le inneficenze, le ingiustizie ecc. in modo che la politica si occupi più dei problemi della gente e non dei balzelli o del affarismo clientelare.
    Il compagno Ezio è il migliore rappresentante possibile di questo programma, compagno che ha dimostrato nella sua vita professionale e politica coerenza e tenacia ammirevoli. Io sono con Lui!!

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