Contro privilegi e vitalizi costruiamo una nuova autonomia

100_2927Scoperti con le mani nella marmellata, tutti i partiti politici, senza distinzione tra centro-sinistra e centro-destra – che hanno pari responsabilità nella vicenda vitalizi e privilegi indecenti – in questi ultimi giorni, con un certo balbettio, cercano di porre rimedio alla figuraccia. Agli occhi dei trentini sono apparsi avidi e approfittatori, scaltri calcolatori adagiati in una realtà che non ha nulla a che vedere con le difficilissime condizioni di vita di troppe persone.
Tra le pagine dei giornali, strabordanti dei comunicati stampa dei vari portaborse, emerge chiaramente qual è il piano generale: vorrebbero che tutto tornasse come prima e, magari, essere applauditi perché hanno trovato una soluzione che comunque, in generale, li accontenti tutti. Si auto assolvono; d’altronde “The show must go on!”.
Si dimenticano però che le risposte politiche dell’autonomia alla crisi economica non sono poi così differenti da quelle nazionali improntate sull’austerità e l’ideologia della grandi opere. Anche qui le logiche speculative e finanziarie hanno il sopravvento sugli investimenti nel welfare, con un impoverimento dei molti che sale in proporzione ai tagli alla spesa sociale. I livelli di disoccupazione sono in aumento, lo sfruttamento e la precarietà si allargano come una metastasi, “pianificazioni” urbanistiche come le Albere sono esemplificative del fallimento del sistema clientelare e lobbistico costruito negli ultimi quindici anni.
Da questo punto di vista il fatto che provino a mettere la parola fine alla vicenda è comprensibile: cercano di esorcizzare quello che i più abili della casta hanno ben compreso, ossia che la crisi della rappresentanza non è un concetto astratto inscrivibile solo al livello nazionale, ma ha preso forma e concretezza anche in Trentino. I dati sono chiari: nelle ultime elezioni l’astensionismo è aumentato (nel 2010 a quelle per le Comunità di Valle ha raggiunto il 55%, lo scorso anno alle provinciali il 38%,). La politica del palazzo è percepita come sporca e relegata ad interessi particolari e di pochi. E la critica viene mossa in termini non sempre e solo qualunquisti. Per fare un paragone il referendum per l’acqua bene comune nel 2011 ha visto l’astensionismo al 36%, con una vittoria dei Sì ma quasi nulla si è fatto per la ripubblicizzazione del servizio idrico.
Di pari passo avanza inesorabile la crisi della forma partito e del meccanismo della concertazione sindacale con CGIL, CISL e UIL: pilastri, evidentemente d’argilla, della struttura complessiva della governance locale. In merito ai partiti e ai sindacati le riflessioni da porre sono due: o tutti i dirigenti di partito e sindacato sapevano e quindi hanno taciuto, oppure sono stati messi all’oscuro di tutto.
Se la risposta fosse la prima, appare grave in quanto evidenza un sistema marcio e corrotto; se fosse la seconda, confermerebbe la totale inadeguatezza della forma partito, che esclude la propria base da qualsiasi decisione “dell’alto”, non informandola e relegandola ad un ruolo di comparsa. Ma al tempo stesso non essersi confrontati coi sindacati sconfesserebbe il ruolo stesso della concertazione nella governance locale, evidentemente percepita come un orpello superfluo.
Accortasi della rottura del modello che ha retto gli ultimi quindici anni, la stessa CGIL, per bocca di Burli (riconfermato nel congresso dello scorso weekend al vertice), per salvare quel poco che rimane della concertazione e mantenere una posizione di primo piano nella governance, arriva a dire che manifestare non serve nulla. Ad oggi nessun segretario di categoria ha controbattuto ad affermazioni tanto semplicistiche quanto perdenti.

Tutto questo dimostra in maniera evidente che solo chi ha degli interessi individuali o deve difendere un tornaconto di categoria cerca di preservare la governance; alcuni commenti saccenti accusano i manifestanti di ricercare la propria visibilità personale o di riempire il vuoto di rappresentanza con altra rappresentanza. La verità è che la collettività è profondamente e degnamente indignata e può trovare da sé nuove forme di democrazia e autogoverno che crescono dal basso.
E d’altro canto queste molteplici spinte “dal basso” sono l’unica possibile contrapposizione radicale agli attacchi all’autonomia e al nuovo centralismo nazionale che il governo Renzi sta rispolverando.
E’ su questa tensione che #trentoinpiena si caratterizza come uno spazio pubblico aperto per il cambiamento dell’esistente. Per questo siamo per costruire una nuova autonomia sociale e politica, indipendente dal comando politico parassitario, in grado di divenire autogoverno. Siamo per un’autonomia che si declina nella costante ricerca di un nuovo concetto di cittadinanza e nella conquista di nuovi diritti per tutti e tutte, rivendica un’equa ridistribuzione della ricchezza prodotta, e, nella teoria e nella pratica, lotta per rivoluzionare l’esistente.
E proprio perchè il dibattito politico attuale lo necessita, esplicitiamo che la nostra autonomia non ha nulla a che spartire con le logiche da piccola patria etnica e con qualsiasi opzione politica localistico-reazionaria.
Con questo spirito e protagonismo l’8 aprile saremo in assemblea ed acampada sotto il palazzo della Regione e il 12 aprile scenderemo tutti a Roma alla manifestazione contro la precarietà e l’austerity.

Stefano Bleggi – Cso Bruno

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