Contratti a termine e il lavoro che non c’e’
Mentre l’attenzione della stampa e dei media italiani sono tutti impegnati a descrivere le reazioni del PDL alla sentenza della consulta sul processo Mediaset o sulle politiche di espulsione made in M5S il governo Letta si appresta a varare una norma liberticida in materia di liberalizzazione dei contratti a termine.
Il governo Letta, con un decreto a firma del ministro Giovannini e in violazione delle stesse direttive europee, vuole introdurre la possibilità di stipula di contratti a termine anche in assenza di causale per i lavoratori fino a 29 anni. Le conseguenza di questo decreto renderà il lavoro dei nuovi assunti precario e ricattabile a vita.
Ancora una volta si pensa di risolvere il problema del lavoro aumentandone la sua flessibilità sulla scia dei precedenti governi Monti, Berlusconi e Prodi, nella convinzione errata che i licenziamenti facili rilancino sviluppo e l’occupazione giovanile dimenticando, volutamente, che l’ecatombe di imprese non dipende dalla rigidità del lavoro ma dalle politiche di austerità, del credito e della speculazione finanziaria.
Infatti, dopo un anno di riforma Fornero la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 40% e le imprese chiudono mentre aumenta vertiginosamente il numero di disoccupati e imprenditori che stremati dalle politiche di austerità scelgono la tragica via del suicidio.
Una situazione drammatica che richiederebbe interventi forti ed urgenti per porre un argine a questo disastro sociale ma il governo Letta non riesce di andare oltre un decreto sulla liberalizzazione dei contratti a termine.
Una norma che renderebbe l’istituzionalizzazione e la generalizzazione del precariato la “normale” condizione di lavoro rendendo il lavoratore ricattabile a vita.
Infatti il lavoratore con contratto a termine rinnovabile a sola discrezione del padrone, a differenza di oggi, si guarderà bene dal chiedere il rispetto delle norme contrattuale e di legge o di rivendicare i suoi diritti sapendo che queste rivendicazioni significherebbero il mancato rinnovo del contratto e quindi lo stato di disoccupazione.
Non è casuale che questa norma si fortemente voluta dalle imprese. I padroni sanno benissimo che un contratto a termine con scadenza automatica e rinnovabile e sua totale discrezione gli conferisce un potere decisionale senza precedenti annullando di fatto lo stesso Statuto dei lavoratori e qualsiasi altra norma a tutela del lavoro a partire da quelle sulla sicurezza.
In sostanza questo decreto cancella, sul campo, ogni diritto del lavoro, ogni possibilità, per il lavoratore, di svolgere libera attività sindacale di organizzarsi e di lottare per i suoi diritti.
Cgil Cisl e Uil in materia di lavoro hanno indetto una manifestazione unitaria per sabato prossimo a Roma con al centro della mobilitazione la battaglia sul fisco e sulla semplificazione della Pubblica Amministrazione. Mentre i sindacati, con una strana assonanza con Confindustria, puntano a riavviare l’economia con un taglio forte del fisco per lavoratori e pensionati e per le aziende che assumono e innovano, il governo pensa a radere al suolo qualsiasi ipotesi di tutela del lavoro da farci rimpiangere la Fornero e la legge 30.
Una scelta quella del governo che si inserisce a pieno titolo nello spirito dell’accordo sulla rappresentanza che esclude ogni forma di dissenso relegando alle organizzazioni confederali il monopolio della rappresentanza.
Quello che trovo incomprensibile è che la Cgil non si accorga che queste norme stanno spianando la strada allo strapotere dell’impresa sul lavoro con la conseguente marginalizzazione e corporativizzazione del sindacato minando alle fondamenta il concetto stesso di confederalità.
In questo sistema potrà sopravvivere solo un sindacato aziendalista e totalmente subalterno agli interessi dell’impresa. In sostanza siamo davanti al rischio di una trasformazione della Cgil da sindacato confederale a semplice erogatore di servizi e politicamente aziendalista.
Se penso che sul sito della Cgil leggo che: “Il lavoro è un patrimonio di tutti, come la Carta Costituzionale…..la difesa del lavoro e dei lavoratori è una priorità”, mi sorge forte il dubbio che la coerenza politica non abiti più in Cgil.
Ezio Casagranda