Oggi come allora: NO al terrorismo
In questi giorni, dove un governo di professori (sic!) maggiordomo della Merkel al servizio della BCE, per bocca del suo ministro Calcellieri non esita a paragonare la lotta dei NO TAV al terrorismo come nei lontani anni 70 si faceva con le lotte dei lavoratori, credo sia importante ribadire che oggi come allora la violenza è usata per tacitare ogni forma di protesta e di dissenso nei confronti delle politiche da macelleria messe in campo da Governi, padroni e banche d’affari.
Un’importante testimonianza viene da questa riflessione di Sandro Giordani, operaio metalmeccanico ora in pensione che volentieri pubblichiamo.
La redazione
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L’anniversario dell’uccisione di Aldo Moro e il clima che si respirava nell’ambiente scolastico di Rovereto descritto nella lettera al Trentino di Paolo Farinati mi induce ad intervenire per ricordare la strategia del terrorismo vissuta direttamente nelle fabbriche, nell’ambiente operaio e precisamente quello dei metalmeccanici; categoria definita allora, come adesso punta di diamante del movimento operaio.
Allora lavoravo come operaio alla Rheem Radi di Rovereto (oggi Ariston del gruppo Merloni), in quegli anni eravamo circa 480 dipendenti dei quali 8 dirigenti, un centinaio di impiegati e i rimanenti operai dislocati su 3 turnazioni. Il terrorismo, le gambizzazioni, i sequestri, le stragi erano viste e vissute qui da noi nelle fabbriche del Trentino con distacco, come un problema che non ci riguardava, perlomeno nella stragrande maggioranza dei lavoratori, vi era invece una minoranza di lavoratori che era ben consapevole del grande pericolo rappresentato dal terrorismo; la difficoltà di comprensione nasceva dal fatto che il terrorismo usava strumentalmente le rivendicazioni operaie, molto diffuse in quel periodo. E a poco bastavano le assemblee del sindacato allora riunito nella F.L.M. per discutere e sensibilizzare i lavoratori sulle tematiche e le azioni del terrorismo non solo perché il terrorismo era contro gli interessi dei lavoratori, ma in primo luogo perché rappresentava un pericolo per la nostra democrazia.
Ricordo nitidamente il giorno del sequestro di Moro e l’uccisione degli uomini della scorta e una quarantina di giorni dopo il ritrovamento del cadavere nella renault rossa in via Caetani; in tutte e due le occasioni, come delegati sindacali presenti in fabbrica, dopo una “veloce” riunione del Consiglio di Fabbrica decidemmo di rispondere con uno sciopero/assemblea, senza aspettare direttive del sindacato esterno, per dimostrare tutta la nostra contrarietà all’azione eversiva delle BR; non fu facile convincere i lavoratori, troppo duro era lo scontro sociale in atto, ma alla fine le linee di produzione si svuotarono.
Il Trentino non fu fortunatamente toccato dall’azione terroristica se non in qualche episodio di ritrovamento di volantini delle BR in alcune cabine del telefono nella zona industriale di Rovereto, ma anche sul parabrezza della mia automobile parcheggiata fuori dalla fabbrica, ma nulla di più. Dopo quell’episodio mi recai ad informare gli uffici di polizia, mi resi conto comunque che dovevamo svolgere l’attività sindacale con maggior cautela, avendo la massima attenzione a qualsiasi segnale che poteva insospettire noi delegati che volenti o nolenti eravamo in prima linea contro il terrorismo.
Nemmeno un anno dopo l’uccisione di Aldo Moro, il 24 gennaio 1979 avvenne l’uccisione di Guido Rossa, operaio all’Italsider di Genova, delegato sindacale della FIOM, iscritto al PCI. Quello fu l’episodio che tolse definitivamente qualsiasi alibi al terrorismo, con quell’azione tutti i lavoratori compresero che il terrorismo rappresentava il contrario dei propri interessi e che non aveva niente da spartire con il rinnovo dei contratti, con la lotta per una maggior giustizia sociale e per la democrazia.
Una delegazione di delegati sindacali della Rheem Radi andammo a Genova ai funerali di guido Rossa, ci ritrovammo in mezzo ad una marea di bandiere rosse, in una giornata resa ancora più triste dalla pioggia. Nei giorni successivi in fabbrica arrivò un nuovo responsabile del personale, certo dott. Mario Sartori, proveniente dall’Italsider di Genova, persona competente e disponibile al dialogo. A fronte dell’ondata di terrorismo, come Consiglio di fabbrica non potevamo abbassare la guardia, decidemmo di svolgere un’assemblea su questo argomento con l’intenzione di far intervenire un rappresentante per ogni gruppo del Consiglio Provinciale; presentammo queste nostre intenzioni al Dott. Sartori, il quale però ci convinse di promuovere l’assemblea con altre persone dicendo ” con tutta la stima che posso avere nei confronti dei Consiglieri Provinciali, cosa ne sanno di terrorismo”? Prese il telefono in mano e con noi presenti si mise a parlare con Penzo Renato, delegato FIOM dell’Italsider e compagno di lavoro di Guido Rossa. Successivamente venimmo a sapere che all’Italsider da mesi venivano svolti turni di vigilanza dei delegati sindacali concordati con la Direzione aziendale di cui il dott. Sartori ne faceva parte, il suo arrivo qui in Trentino non fu poi tanto casuale, avendo le BR avuto qualche attenzione nei suoi confronti; Guido Rossa fu ucciso proprio perché ebbe il coraggio di testimoniare in tribunale contro Berardi, postino delle BR, impiegato di alto livello proprio all’Italsider.
Qualche settimana dopo arrivarono a Rovereto tre delegati sindacali dell’Italsider, ricordo ancora i nomi: Leva della FIM, Carletti della FIOM e Penzo Renato anch’esso della FIOM con il quale intrattengo ancora un rapporto vero di amicizia: fu un’assemblea “storica” nel senso che l’arrivo dei tre delegati sindacali dell’Italsider all’assemblea dei lavoratori della Rheem – Radi è stato un incontro “vero” con dei protagonisti che avevano vissuto in prima persona la lotta contro il terrorismo . Tutt’ora sulle pareti della sede della RSU della fabbrica è appeso un poster con l’immagine di Guido Rossa, ucciso dalle BR.
Sandro Giordani
Ex operaio e delegato sindacale FIOM della Radi
Di Rovereto
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