Cura Italia: Un’elemosina per il lavoro povero

Nel Cura Italia solo un’elemosina per il mondo del lavoro povero. È l’ora di un reddito di cittadinanza incondizionato

Se per chi dispone di un contratto il Governo si è posto il problema di estendere gli ammortizzatori sociali (i cui tempi di erogazione però rischiano di essere molto lunghi), per il mondo del lavoro atipico c’è invece la scelta di considerarlo come una grande area di povertà da trattare con sussidi da elemosina. A cosa corrispondano quei 600 euro previsti per autonomi, co.co.co. e stagionali non è difficile capirlo: sono più o meno il 75% del reddito di cittadinanza, cioè di quei 780 euro che per l’ISTAT corrispondono alla soglia di povertà. Una sorta di “cassa integrazione dei poveri”, a coprire il mancato reddito di marzo, calcolato, si potrebbe dire per definizione, attorno alla soglia della pura sopravvivenza.

Nel Decreto c’è anche l’istituzione di un nuovo Fondo chiamato per il reddito di ultima istanza, destinato a chi ha cessato, sospeso o ridotto l’attività. Una sorta di ultima spiaggia per la quale sono stati stanziati 300 milioni e che sarà il Ministero del Lavoro a determinare come saranno ripartiti.

E c’è, meno male, il blocco degli sfratti, assieme ad una serie di misure per sostenere il pagamento dei mutui. Non c’è niente invece per chi vive in affitto e che è parte, per la stragrande maggioranza, di quel mondo iperprecario che conta redditi da pura sopravvivenza.

La filosofia del Cura Italia sembra pertanto essere quella di sacrificare – in termini di vite umane – una parte della popolazione che il mantenimento in funzione di tantissime attività finirà inevitabilmente per esporre al contagio, con conseguenze drammatiche soprattutto per la parte più fragile e per gli anziani, e di sacrificare economicamente anche la parte più povera, alla quale destinare una fetta residuale delle risorse, condannandola ad una vita di miseria.

Ora si vedono anche le conseguenze della recentissima normativa sui rider, che ha evitato di riconoscerli come lavoratori dipendenti. Se fossero stati contrattualizzati per quello che effettivamente sono, i ciclofattorini oggi potrebbero almeno usufruire della cassa integrazione. Ed invece sono condannati a correre per le città, rischiando il contagio per un salario da fame.

Tra le poche voci che sono risuonate fuori dal coro è giusto segnalare quella del presidente dell’INPS Pasquale Tridico che ha avanzato la proposta di una estensione del reddito di cittadinanza, eliminando le tante condizionalità che sono tuttora in vigore e che restringono di molto la platea degli aventi diritto. Una proposta che fino a ierisembrava irrealistica e massimalista e che oggi, di fronte alle evidenze della nuova situazione che ci troviamo a vivere, suona come l’unica ipotesi in grado di salvare tutta la popolazione colpita dagli effetti catastrofici della grave crisi innescata dal virus e, contemporaneamente, di impedire una riduzione tale dei consumi da rendere prolungata e drammatica la depressione economica. Che senso ha condizionare ancora l’emissione del reddito di cittadinanza all’accettazione di una proposta di lavoro? E che senso conserva il vincolo ad un ISEE, che ormai non corrisponde più alla realtà, per milioni di persone che non stanno più lavorando e che hanno di fronte diversi mesi di inattività?

Bisogna piuttosto prendere atto del fallimento delle regole europee a partire dal Patto di stabilità e dalla necessità di rilanciare la spesa pubblica, ben oltre i vincoli di bilancio, per salvaguardare tutti quelli che soffrono redditi insufficienti. E le risorse vanno recuperate dai grandi patrimoni finanziari e dai miliardi di evasione ed elusione contributiva che sono state garantite alle imprese in tutti questi anni.

Il Cura Italia non solo suona come un pallido palliativo rispetto all’enormità della situazione ma centra l’attenzione sul futuro delle imprese prima ancora che sulla sorte delle persone, partendo dal presupposto insopportabile che una parte della popolazione sarà sacrificata ed abbandonata a sé stessa, allargando a dismisura l’area della povertà. Nel prossimo provvedimento che il governo già preannuncia occorrerà cambiare completamente registro.

USB – Federazione del Sociale

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