L’Europa ad un bivio.

Marc Bloch, eminente storico e partigiano assassinato dai nazisti nel ’44, scrisse che l’idea di Europa sorse alla caduta dell’Impero Romano. Con questo pensiero, a mio modo di vedere, voleva dire che lo scontro tra mondo Latino e Germanico aveva contribuito al formarsi dei primi nuclei territoriali che poi sarebbero confluiti negli stati attuali e che il patrimonio d’un continente unito ed in pace erà presente anche dopo l’esperienza imperiale.
La caduta, come molti la definiscono, mentre io la ritengo più una trasformazione, diede avvio anche ai nazionalismi nati dall’odio verso il dispotismo romano. Infatti per poter abbattere l’Impero i Germani si dovettero unire in confederazioni tribali non più in lotta tra di loro, ma unite nello scopo di sconfiggere un nemico ormai debole a causa di decenni di crisi economica, finanziaria, politica ed organizzativa dello stato.
A seguito nacquero gli Alemanni, I visigoti, I vandali ecc.. che sparpagliandosi per l’Europa formarono delle enclave di popoli autonomi ed in perenne guerra fra di loro sia per questioni economiche, che di appartenenza etnica. Essi assorbirono la cultura romana trasformandola e dando vita a nuovi correnti e stimoli artistici, politici, sociali ecc.
L’Unione Europea è nata a seguito della seconda guerra mondiale unendo popoli perennemente divisi sin dai tempi di Roma. Dopo 1500 anni di atrocità stiamo ancora tentando di dare vita ad un’idea sorta a Ventotene da dei sognatori di pace. Purtroppo la “casa comune” ha avuto una costruzione parecchio strana: sembra che gli ingegneri abbiano scavato delle poco profonde fondamenta per utilizzarle solo come basi d’un tetto senza pareti, ma di soli travi. La politica germano centrica degli ultimi anni sta facendo traballare i pilastri, questo è chiaro a chiunque pratichi un po’ di politica europea.
Ora per sistemare una casa traballante ci sono due metodi, o l’abbatti o la puntelli avviando delle opera di consolidamento. Sembra che quest’ultima ipotesi non sia la più gettonata in quanto ci vuole più tempo, pazienza, organizzazione, conoscenza reale e non ideologica della situazione, un popolo preparato e disposto ad intraprendere una strada diversa, ma tutto sommata quasi priva di asprezze.
Una parte delle aree politiche di destra o sinistra intende o desidera invece abbattere il tetto (ovvero i vertici e le istituzioni) inconsci del fatto che le macerie travolgerebbero la base sotterrandola sotto un mare di sofferenza.
Quello che voglio dire è che in questo momento storico, o ci sono delle forze politiche, sociali coese, unite, organizzate, ecc a livello europeo, capaci di sovvertire la prepotenza germanica e la sua visione bancaria/finanziaria del cittadino europeo con un proprio progetto d’Unione. Oppure il palcoscenico avrà un unico scenario, la disfatta e l’ennesima tragedia Europea.
In un mondo in cui gli slogan la fanno da padrone ed i dati reali vengono utilizzati per il proprio tornaconto la vedo abbastanza dura. La gente disposta a farsi avanti per collaborare con altra gente, penso c’è ne sia. Manca una seria organizzazione e coordinazione tra i stati europei che vogliono invertire le tendenze degli ultimi anni. Taluni si accontentano della distruzione, altri si rivolgono allo stordimento della rete.
Sindacati, partiti, organizzazioni sociali europee o almeno del Sud Europa dovrebbero parlarsi senza pregiudizi, ideologie, nazionalismi per stabilire i passi da fare, i compiti da dare, le opzioni per raggiungere il risultato ecc… O c’è tutto questo oppure c’è il vuoto assoluto, più assordante delle mancate risposte dell’Unione Europea alle varie crisi che la stanno attraversando. Ho visto delle attività del genere nel recente passato, non so a che punto organizzativo si trovino.
La vicenda Catalana non è sé solo la partecipazione ad un referendum e neanche un reale bisogno di libertà, in quanto non mi sembra che la popolazione sia stata recentemente sottoposta alla limitazione dei diritti. Ma può rappresentare l’inizio della fine della seconda unità del continente. Imperfetta sicuramente, ma almeno per qualche decennio non ci siamo sparati addosso tranne nella guerra civile Jugoslava. Ora sta a noi vedere quale è il minore dei mali: una netta distruzione o una lenta trasformazione sino ad arrivare ad un continente unito, solidale e federalista?
Nicola Messina

Loading

7 commenti

  • Dal mio punto di vista è meglio, come si dice oggi col linguaggio della società tecnologico-informatica,
    RESETTARE il tutto, e ripartire da zero.
    Accada quel che deve accadere.
    Piuttosto che tenere in vita un organismo nato sfigato, allevato male e ora invaso dal cancro, meglio che crepi il prima possibile.
    Se non si demolisce il vecchio edificio pericolante e non si asportano le macerie, e’ impensabile costruire il nuovo.
    Ora concentriamo tutte le energie nella fase destruens, che e’ la piu’ facile e comoda, poi dovremo impegnarci con tutta l’anima nella fase construens, che e’ difficile e dolorosa.
    Per arrivare alla seconda e’ necessario passare in mezzo al guado.
    Incamminiamovici con convinzione, determinazione e tenacia.
    Altrimenti che riviluzionari del cazzo saremmo?

    • Nicola

      Il problema di fondo di ogni questione è chi ci mette la faccia, le sue capacità organizzative e il denaro che bisogna raccogliere per far fronte a spese e richieste. La rivoluzione con le chiacchierre è ben misera cosa. Io non mi ritengo un rivoluzionario, ne ho conosciuti fin troppi personalmente, e localmente, di pagliacci traditori che si definivano tali. Personaggi di dubbia etica che si definivano dei superiori intellettualmente per poi ridursi a meno di cani scodinzolanti di fronte al padrone. Quindi il loro apporto alle problematiche attuali è quatomeno non auspicable, ed è meglio che se ne stiano nelle loro enclave a specchiarsi nel proprio intelletto superiore.
      Al momento solo una capacità organizzativa può dare avvio a delle riforme, molte volte la repressione dello stato esiste solo nelle menti di gente che non fà nulla per unire e deve trovare una scusa per la propria inconsistenza sociale.

  • È del tutto evidente che il vecchio va sacrificato al nuovo, e che in ogni trasformazione radicale ci saranno le inevitabile vittime.
    Una RIVOLUZIONE pacifica è una contraddizione in termini, un cosi detto ossimoro.
    Come ghiaccio bollente, lucida follia, convergenze parallele.

  • Io invece mi ritengo un autentico rivoluzionario.
    È l’ho dimostrato nella lotta contro i vitalizi dei consiglieri regionali del Trentino-Alto Adige, presidiando la strada per sei mesi col mio tavolino e tazebao in Piazza Dante e in piazza Duomo.
    Tre volte la settimana per 10 ore al giorno.
    Grazie al nostro Comitato è stata approvata una legge, la n.4 del luglio 2014, che ha fatto restituire 29 milioni di euro, che ora aiutano molte famiglie in difficoltà.
    Ho contribuito a comprare io terreno NOTAV ad Acquaviva e ho tenuto l’orto, tutto gratis.
    Ho fatto la campagna elettorale alle comunali di Trento nel 2015 per il Mov5☆, facendo eleggere tre consiglieri, e sono iscritto al Sindacato USB.
    Non sono sospetto di carrierismo politico data la mia età di 70 anni.
    Ma questo e’ solo l’inizio.
    Le chiacchiere, che io chiamo invece riflessioni filosofiche, sono altrettanto necessarie della prassi.
    Sono il sale dell’azione.
    Le critiche al mio pensiero sono benvenute e non mi offendono.
    Sono talmente sicuro e deciso nella mia azione rivoluzionaria, che procedo per la mia strada,non lasciandomi deprimere dalle critiche e ancora meno sedurre dalle lodi.
    RESISTERE
    DURARE NEL TEMPO
    RISPONDERE COLPO SU COLPO.

  • Da queste mie prese di posizioni teoriche discende necessariamente che non voglio con me nella mia lotta radicale e di lungo periodo riformisti.
    La sola parola mi fa venire l’orticaria.
    Riformare questo SISTEMA marcio e putrefatto è volere l’impossibile.
    Chi vuole l’impossibile va’ in confusione, e, se insiste, impazzisce.
    Io invece perseguo politicamente il possibile.
    Naturalmente usando i mezzi adeguati.
    Chi vuole il FINE, deve volere i MEZZI.

  • RIFORMISMO O MASSIMALISMO?

    Difronte al SISTEMA di produzione/consumo di tipo capitalistico, che sta’ trionfando nelle aziende e nelle coscienze, solo a spese dei lavoratori, si possono avere i seguenti atteggiamenti:
    – fautori
    – complici
    – rassegnati o indifferenti
    – riformisti
    – massimalisti.

    Fra i ribelli al sistema, la scelta fra riformisti e rivoluzionari ha sempre dilaniato la sinistra, e non è il caso di stupirsi se avviene anche adesso.
    La differenza fra i due tipi è di tipo filosofico e ideologico, ma anche caratteriale.
    Entrambi lottano, ma il riformista si accontenta delle briciole, mentre per il rivoluzionario vale la scelta fra tutto o niente.

    Il FINE del secondo è di sedersi a capotavola, e piuttosto delle eterne briciole preferisce crepar di fame.
    Il riformista chiede la carità col cappello in mano, il massimalista punta “la pistola”, per far aprire il portafoglio al detentore del Capitale, che è SEMPRE avaro per essenza, e occasionalmente generoso per convenienza.

    Le due scelte sono entrambe legittime. Guai a colpevolizzare per questo i singoli e a lasciarsi andare a odi personali.
    Si deve mantenere la delicata questione sempre e solo sul piano politico e del confronto di idee.

    In conclusione, secondo il mio punto di vista attualmente le briciole che cadono dalla sontuosa mensa dei padroni sono così scarse, che è quasi d’obbligo l’opzione rivoluzionaria.
    Che è anche incontrovertibilmente la mia.

  • TEORIA E PRASSI.
    LAVOLO MANUALE e LAVORO INTELLETTUALE.

    Non esiste contrapposizione fra pensiero e azione, per il fatto che quando si lavora con le mani si può sempre continuare a essere consapevoli del proprio pensiero, e quando si pensa è opportuno non rimanere con le mani in mano.
    La scissione fra teoria e prassi è ciò che fa massimamente comodo ai detentori del Capitale, che amano e vogliono operai che non pensano e intellettuali che non si sporcano le mani.
    Lo so’ che gli intellettuali sapientoni stanno sui coglioni agli operai per la loro alterigia e saccenteria, e gli operai vengono guardati dall’alto in basso dagli intellettuali.

    Ma bisogna fare ogni sforzo mentale e sentimentale per superare questa frattura, perché tutte le rivoluzioni vincenti sono state fatte quando si è realizzata una miracolosa alleanza fra forza delle braccia e quella della mente.
    Questa convergenza è la situazione più temuta da chi non le possiede entrambe, ma che di entrambe si serve: il Capitalista, che possiede il denaro, mezzo potentissimo per dominare su tutte le dimensioni del reale.
    Invito perciò gli operai a sopportare il linguaggio degli intellettuali, così come ci si tura il naso quando si prende la medicina per combattere la malattia.
    La malattia della societa’ è il Capitalismo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.