TAV e Valdastico nord, inutili e devastanti.

NOTAV14-11-15TAV e VALDASTICO NORD: due opere inutili e devastanti per il territorio.
Sul territorio trentino sono in programma due grandi opere inutili che potrebbero causare danni devastanti e irreversibili all’ambiente e alla popolazione e che, al contrario di quanto promettono, impediscono un rapido passaggio del trasporto dalla gomma alla rotaia.
INUTILITA’ DELL’OPERA
E’ un opera inutile perché la ferrovia storica del Brennero ha elevate capacità residue di trasporto, come affermato recentemente anche dal coordinatore dell’Osservatorio per la realizzazione della Galleria di Base del Brennero Martin Ausserdorfer.
Quando anche l’Europa manifesta seri dubbi sulla necessità della grande opera, l’assessore Gilmozzi chiede a grande voce le tratte sud, offrendo la disponibilità provinciale a contribuire all’opera.
Con modesti interventi rispetto a quelli previsti per la realizzazione della TAV, tutto il traffico merci su gomma attuale e futuro potrebbe essere spostato su rotaia in pochi anni. In quest’ottica la Valdastico nord non solo si presenta come un opera inutile ma anche in contrasto con lo spostamento del trasporto sulla ferrovia in quanto il trasferimento modale dalla strada alla ferrovia si trova a Verona.
DANNI DEVASTANTI ED IRREVERSIBILI
Lo scavo di gallerie comporta la dislocazione di cantieri diffusi, la produzione e la messa a discarica di grandi quantità di materiali di scavo e la distruzione certa di molte risorse idriche superficiali e sotterranee, oltre al consumo irreversibile di territorio. Questo enorme danno ambientale caratterizza entrambi i progetti ma per la TAV è bene sottolineare che si parla di oltre 600 km di gallerie tra la doppia canna, le gallerie di servizio e cunicoli vari.
OSTACOLO AL RAPIDO PASSAGGIO DELLE MERCI ALLA FERROVIA
Le popolazioni della Valle dell’Adige e Isarco, a causa del pesante traffico di automezzi sull’autostrada del Brennero, vivono in un territorio con concentrazioni di ossidi di azoto ben superiori ai limiti di legge definiti dalla Comunità europea e per questo l’Italia è in infrazione e pagheremo pesanti multe.
L’individuazione della soluzione del problema del traffico merci sull’autostrada del Brennero nella TAV significa spostare la soluzione del problema di almeno 30 anni costringendo le popolazioni della Valle dell’Adige e della Val d’ Isarco a vivere per anni in un ambiente pesantemente inquinato con grave pericolo per la salute in particolare delle fasce più deboli, bambini ed anziani.
Queste opere che avrebbero costi insostenibili, sono volute fortemente dalla finanza e dal potere economico per gli interessi di poche presone a scapito del resto della popolazione che deve subire pesanti tagli alla sanità e in generale allo stato sociale.
Per questo facciamo appello a tutti i cittadini a partecipare attivamente e criticamente nelle occasioni di incontro e confronto come la manifestazione organizzata a TRENTO dai Comitati NOTAV

Sabato 14 NOVEMBRE con ritrovo in
PIAZZA DANTE alle ore 14:30

Comitato NO TAV di Trento
comitatonotavtrento@gmail.com

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5 commenti

  • Gianni Sartori

    UN RICORDO DI ALEX LANGER VENT’ANNI DOPO
    (Gianni Sartori)

    CORREVA L’ANN0 1968…

    Conobbi Alex Langer nel 1968, all’Isolotto di Firenze dove un prete giudicato troppo di sinistra era stato rimosso dalla sua parrocchia (e sostituito, guarda la combinazione, con un vicentino più accomodante). Don Mazzi riuniva quasi ogni sera la sua comunità di base in alcune “baracche verdi” dove anch’io trovai ospitalità per un paio di notti. Era una sorta di assemblea popolare permanente in cui ognuno poteva intervenire in merito alle problematiche dibattute. Arrivai in autostop, dopo un’incursione a Barbiana. Avevo letto con passione “Lettera ad una professoressa” e speravo di poter incontrare Don Milani, non sapendo che era già morto da circa un anno. Invece Langer quel “profeta di Barbiana” lo aveva conosciuto molto bene (sua la prima traduzione in tedesco di “Lettera ad una professoressa”); mi apparve molto preparato e già ricco di esperienza. Nonostante i modi garbati, anche se talvolta “sbrigativi”, metteva un po’ di soggezione (io avevo sedici anni, lui solo cinque in più, ma a quell’età facevano una bella differenza). All’Isolotto Langer era ormai di casa e aveva contribuito alla nascita del “Notiziario della Comunità dell’Isolotto”. In seguito Don Mazzi (scomparso nel 2011) scrisse che “Alex non si contentava di collaborare alla redazione e alla stampa col ciclostile: dopo notti insonni prendeva il suo pacco di Notiziari per distribuirlo sulla passerella che scavalca l’Arno unendo l’Isolotto alle Cascine. A quell’ora la passerella incominciava già ad affollarsi di operai che in bicicletta o in motorino andavano a coprire il loro turno nella zona industriale (…). Poi passavano gli studenti e gli impiegati. Dalle cinque alle otto attraversavano l’Arno in quel punto centinaia di persone”.
    La passerella, il ponte…una metafora costante nella vita di questo perenne “traghettatore”, “traduttore”, “saltatore di muri” e “costruttore di ponti” come venne definito (oltre che “viaggiatore leggero” e Hoffnungstranger, “portatore di speranza”). Del resto “Die Bruke – il Ponte” era il nome del mensile (preceduto da alcuni numeri del ciclostilato “Fratelli/Bruder”) di cui fu ispiratore a Bozen. Altri ponti, quelli di Mostar, Vukovar, Srebrenica e Sarajevo crollati sotto le bombe, contribuirono ad alimentare la sua disperazione per la tragedia jugoslava, un vero trauma che lo convinse della necessità di un intervento armato in Bosnia (cadendo forse, con il senno di poi, nella trappola della totale militarizzazione del conflitto).

    Ricordo che quella volta, nel ’68, anche lui “era solo di passaggio”, appena rientrato dalla Germania e dalla Cecoslovacchia (assistendo in prima persona agli eventi di agosto quando Praga era stata occupata militarmente dai carri armati) e forse in procinto di ritornarvi. “I cecoslovacchi -era la sua opinione– avevano saputo distinguere tra socialismo e colonialismo sovietico”. Due anni dopo aderirà a Lotta Continua.

    Avevo poi ritrovato Langer negli anni novanta (anche a Vicenza, al Canneti) in occasione di incontri con le associazioni ambientaliste. L’ultima volta a Campogrosso, al confine tra Veneto e Trentino, nella primavera del 1995 per un dibattito organizzato da Mountain Wilderness con Terenzio Sartore e Gianfranco Sperotto.
    Amara constatazione, tutte queste care persone nel frattempo ci hanno lasciato.
    L’amico Sperotto, dopo una vita spesa a “lottare per ciò che è giusto”, nel 2011. Investito da un automobilista distratto (o peggio) mentre attraversava la strada. Una morte tragicamente simbolica per un ecologista “senza se e senza ma”. Negli ultimi anni si spostava sempre in corriera e in bicicletta, anche quando scendeva dall’Alto Vicentino per partecipare alle riunioni del Presidio No Dal Molin.
    L’intento dell’incontro di Campogrosso era promuovere la realizzazione di un Parco naturale delle Piccole Dolomiti. Per la cronaca va registrata la presenza di alcuni cacciatori e proprietari che, letteralmente, minacciarono di “dar fuoco ai boschi” se l’ipotesi si fosse concretizzata. Ricordo Terenzio quasi in lacrime di fronte a tanta protervia e l’abilità di Sperotto nel riportare comunque il confronto entro limiti più civili. Ovviamente Langer, esponente di Mountain Wilderness e degli “Europarlamentari amici della montagna”, garantiva tutto il suo sostegno a livello istituzionale.
    Di fronte alla lapide in memoria del comandante partigiano Toni Giuriolo (militante di Giustizia e Libertà, ricordato da Meneghello in “Piccoli maestri”) aveva osservato che “Vicenza e provincia, purtroppo, godranno a lungo della notorietà internazionale – all’estero è già stata soprannominata la “Rostock d’Italia” – acquistata con la manifestazione dei naziskin dell’anno scorso”. Partiva da qui per una serie di riflessioni su “l’attuale situazione politico-culturale impregnata di rigurgiti razzisti, di conflitti etnici più o meno latenti…”.
    All’epoca l’amara constatazione di Langer era che “al momento attuale interi strati di giovani sembrano non avere alcuna competenza di tematiche quali la solidarietà, la non violenza, la difesa dei diritti umani”. Si salvavano comunque “alcune frange di volontariato che tuttavia sembrano rivolgersi soprattutto a casi singoli, personali, meno presenti sul piano collettivo”.
    “Forse noi, quelli della nostra generazione” – aveva aggiunto – “pensavamo che i giovani hanno comunque in sé le potenzialità per una cultura alternativa all’egoismo, al rampantismo, all’individualismo. Invece sembra che stiano diventando una brutta copia degli adulti”.
    Parole molto dure, in parte ancora attuali.
    Non era comunque privo di speranza per il futuro: “Molti di questi giovani che si sono fatti drogare dalla televisione non si sono mai sentiti dire una piccola frase: “Vieni e vedi”. Si tratta di creare ambiti in cui poter partecipare senza che questo comporti omologazione o sottoscrizione di una ideologia. Sono convinto che dalla diffusione del volontariato civile potrà derivare una rigenerazione politica”.

    UN PRECURSORE DEI NO-GLOBAL

    In varie occasioni mi è capitato di cogliere un sincero rimpianto per “un appuntamento mancato”: l’incontro tra l’impegno decennale di Alex in difesa dell’ambiente, dei Diritti umani, della Pace e le lotte antiglobalizzazione. Veniva dato per scontato che Alex si sarebbe identificato, dando il suo prezioso contributo, con il movimento dei No-Global , quel movimento che che qualche anno dopo la sua morte, da Seattle a Genova, aveva riportato migliaia di giovani nelle piazze.
    In realtà il suo contributo l’aveva già dato con la nascita di alcune associazioni che a Seattle, nel 1999, uscirono allo scoperto in maniera dirompente.

    Ancora nel 1988, su il manifesto, lanciò una campagna per trasformare il debito estero del Terzo mondo in un debito ecologico planetario. L’iniziativa, in breve tempo, portò alla nascita di un gruppo operativo denominato Campagna Nord-Sud. Biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito.
    Entrarono a farne parte militanti di varia estrazione. Basti citate Christoph Baker, Jutta Steigerwald, Mao Valpiana, Gianfranco Bologna, Helan Jaworski, Arno Teutsch, Marinella Correggia, Grazia Francescato, don Giulio Battistella, José Ramos Regidor…
    Tra i principali interlocutori e consulenti della Campagna, Teddy Goldsmith, Wolfgang Sachs, Vandana Shiva (India), Wangari Maathai (Africa), Leonor Briones (Filippine), Rosika Darcy de Oliveira (Brasile), Yash Tandon (Uganda e Zimbabwe), Esperanza Martinez (Ecuador), Eduardo Gudynas e Graciela Evia (autori di La praxis per la vida, divenuto un testo di riferimento per i militanti dell’ecologia sociale).
    Non è certo casuale ritrovare poi alcuni di questi nomi tra gli organizzatori delle grandi manifestazioni di Seattle, Praga, Genova (2001) e Firenze (2002).
    Nell’ambito delle attività promosse dalla Campagna, nel 1990 Langer si recò in Argentina e Uruguay per il secondo Congresso latino americano di ecologia e in quella sede contribuì a far emergere la stretta connessione tra problemi ambientali e sociali. Nel 1992 era presente all’Assemblea dei parlamentari e al Global Forum della società civile di Rio de Janeiro. Da questa tribuna aveva lanciato la proposta di un “Tribunale internazionale dell’ambiente” e aderito alle iniziative di solidarietà con gli indios Xavante che nel Mato Grosso combattevano per riavere le loro terre occupate da Agip.
    Una battaglia a cui contribuirà anche economicamente con 97 milioni di lire.
    Negli ultimi decenni del secolo scorso le lotte ambientali nel Terzo mondo rappresentarono anche il ritorno sulla scena politica di soggetti dati come “in via di estinzione”: gli indigeni e i contadini poveri.
    Esponenti della Campagna, parteciparono ai Congressi nazionali dei seringueros (Langer stesso si era recato in Brasile immediatamente dopo l’assassinio di Chico Mendez) e contribuirono alla nascita nel 1991 della Confédération Paysanne di José Bové (presente sia Genova nel 2001 che a Firenze nel 2002) e di Via Campesina. Quanto a Langer, toccò a lui introdurre l’incontro organizzato a Genova dalla Campagna per i 500 anni della Conquista dell’America. Sono questi anni di incubazione per le future lotte anti-globalizzazione, anni in cui centinaia di migliaia di persone, in ogni angolo del Pianeta, mettevano in pratica forme di resistenza convinti che “un altro mondo è possibile”. Sempre attivo, Langer sarà tra i promotori della Fiera delle utopie concrete a Città di Castello (con Ivan Illich), un vero e proprio “laboratorio di conversione ecologica” da cui prenderà il via anche l’Alleanza per il clima per una drastica riduzione delle emissioni inquinanti del mondo industrializzato in collaborazione con gli abitanti delle foreste tropicali.
    Nel gennaio 1994 entrava in vigore il Nafta, un accordo commerciale tra USA, Canada e Messico, devastante per le popolazioni indigene. Banca Mondiale e Fondo monetario ottenevano il via per la libera circolazione delle merci, in un contesto di quasi totale non regolamentazione in materia ambientale e sociale, sulla base dei principi neo-liberisti del WTO (World Trade Organisation).

    Mentre insorgeva il Chiapas (e la guerriglia zapatista tracciava una linea per terra: “Ora Basta! Da qui non un passo indietro”), dai promotori della Campagna venne costituito un International Forum on Globalisation che raccoglieva circa 60 organizzazioni di 25 paesi. Le stesse che nel 1999 porteranno la protesta nel cuore dell’Impero, a Seattle. Forse l’eredità migliore che Alex ci ha lasciato.

    I GIORNI DELLA FINE

    In quanto sudtirolese di lingua tedesca, figlio di una cattolica tirolese e di un medico ebreo austriaco fuggito prima a Firenze e poi in Svizzera durante il nazismo, Langer aveva vissuto con estrema partecipazione i conflitti tra serbi, croati e bosniaci. Era stato uno dei fondatori del Verona Forum per la Pace e la riconciliazione nell’ex Jugoslavia, una rete di collegamento tra tutte le etnie coinvolte nelle guerre balcaniche.
    “Gli incontri di Verona -ricordava – erano cominciati ancora prima del novembre ’92 e della marcia pacifista a Sarajevo. E già allora abbiamo verificato come fosse difficile mettere insieme queste persone. Molti di loro non volevano riconoscersi sotto la sigla “ex Jugoslavia”. Abbiamo cominciato a incontrarci con gruppi minoritari, donne, pacifisti, democratici…Sono più di duecento le persone che hanno partecipato ad almeno uno degli incontri, confrontandosi e arrivando a firmare documenti comuni”. E naturalmente ognuno di loro “nel partecipare alla compilazione di un documento, di una dichiarazione doveva anche pensare alla posizione della sua etnia”.
    L’ultimo periodo della vita di Langer era stato convulso. Aveva investito ogni energia nella lista per la sua candidatura a sindaco di Bolzano, pensata per “sciogliere i grumi esistenti nel mondo della politica senza ferire le persone e senza sottovalutare la loro esperienza”. Per una “Bolzano città europea, luogo di convivenza stimolante. Città gentile, ospitale, solidale e sociale”. Il 29 aprile arrivò l’esclusione definitiva sia per il candidato sindaco (per aver rifiutato in due occasioni la dichiarazione di appartenenza etnica) che per la sua lista. Il 19 maggio giunse a Bolzano Selim Beslagic, sindaco della città bosniaca di Tuzla, tradizionalmente un luogo di pacifica convivenza.
    Langer lo aveva accompagnato in vari incontri in Italia e in Europa per istituire proprio a Tuzla “un’ambasciata delle democrazie locali”. Ma una settimana dopo, con una granata che uccise settanta giovani davanti ad un bar, la guerra riprese il sopravvento. Il giorno stesso, via fax, arrivò a Langer copia del disperato messaggio inviato all’Onu da Selim Beslagic: “Voi state a guardare e non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardando: se non intervenite per fermarli, voi che potete, siete complici, è impossibile che non vi rendiate conto”.

    Con l’appello L’Europa muore o rinasce a Sarajevo e con la manifestazione del 26 giugno a Cannes (sconfessando in parte la sua storia personale di pacifista, va detto) Langer chiedeva, in sostanza, un intervento per “dare qualche segnale chiaro che l’aggressione non paga”.
    E venne poi, il 3 luglio 1995, a 49 anni, la tragica conclusione. Anche se alcuni suoi amici, e soprattutto il fratello, ritengono che sul suicidio di Alex permangano molte ombre. Di sicuro era un personaggio scomodo e in molti avranno sicuramente tirato un respiro di sollievo alla notizia della sua definitiva scomparsa. Stando alla versione ufficiale Alex si sarebbe tolto la vita volontariamente. Non lontano da San Miniato, nella Toscana che amava, quella di Barbiana e dell’Isolotto. Un cordino da arrampicata, l’albero di albicocco e i tre biglietti, due in italiano e uno in tedesco: “I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti per questa mia dipartita (…). Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto. Pian dei Giullari, 3 luglio 1995”.
    I funerali videro la partecipazione di oltre cinquecento persone; tra queste molti ex militanti di Lotta Continua: Adriano Sofri, Gad Lerner, Enrico Deaglio, Mauro Paissan…
    A portare a spalla la bara fuori dalla chiesa della Badia Fiesolana (dove predicava il suo amico Ernesto Balducci) altri ex militanti di Lc: Luigi Manconi, Franco Corleone, Marco Boato, Carlo Pannella e Ovidio Bompressi.
    Pochi giorni dopo, l’11 luglio, le milizie serbe di Karadzic e Mladic entravano a Sebrenica.

    Gianni Sartori

  • Gianni Sartori

    http://www.nodalmolin.it/A31-autostrada-discarica-o#.VmbvzIthg5A

    una segnalazione, anche se datata. Ricordo che il sindaco di Albetone è un certo Joe Formaggio…
    ciao
    GS

  • Gianni Sartori

    http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/06/dagli-stati-uniti-alla-francia-urban-sprawl-e-rurbains-divorano-il-territorio/

    altra segnalazione

    (errata corrige: ovviamente il paese si chiama AlbeTTone, con due T)
    ciao
    GS

  • Gianni Sartori

    ….SI PARVA LICET…

    Cari compagni, invio questo testo, risalente ad una decina di anni fa, dove si paventava la definitiva trasformazione di un ambiente naturale raro e prezioso (Lumignano e dintorni, sui Colli Berici) in “parco giochi” per frustrati , figli -legittimi o meno- della società della merce e dello spettacolo. Purtroppo da allora la situazione si è ulteriormente degradata (v. la zona sopra Nanto) e con la nascita di associazioni come “Liberici” (che nel nome vorrebbero richiamarsi ad una malintesa “Libertà”, ma sono in realtà espressione di un liberismo consumista di marca capitalista e borghese) potrà soltanto peggiorare. Quanto all’obiezione: ma non ci sono problemi ambientali più “seri” in zona, ricordo che il sottoscritto si è occupato della Valdastico (Nord e Sud) già oltre 20 anni fa e così di tante altre vergogne ambientali di questo angolo del Nord-Est (dai materiali radioattivi utilizzati da fonderie vicentine alle cave, dai rifiuti tossici alla cementificazione del territorio , al Dal Molin (anche come direttore responsabile del mensile del presidio)..e posso documentarlo, naturalmente. Ma l’esistenza di altre problematiche non giustifica l’indifferenza di fronte allo stillicidio quotidiano che sta deturpando irreparabilmente un ecosistema prezioso come quello di Lumignano e dintorni; anche se in nome di uno sport che presuntuosamente si autodefinisce “altro”…
    GS

    “ADDIO LUMIGNANO BELLA…

    […]
    Un Paese civile e rispettoso delle proprie “radici” avrebbe tutelato in modo molto attento questo suo patrimonio [le particolari formazioni rocciose tra Costozza e Villaga], unico anche per le varietà endemiche di flora ( la Saxifraga berica ) e di fauna ( il Niphargus trevisiol). Da molti anni invece questi luoghi sono diventati una sorta di parco giochi per giovani edonisti che hanno colonizzato con chiodi a pressione e ferraglia tutte le pareti della zona, in nome dell’arrampicata “libera”, eufemismo per dire “datemi un trapano e vado dove mi pare”.

    Sulle conseguenze negative per l’ecosistema di Lumignano (pareti, covoli e ambiente circostante) provocate da questa attività eravamo già intervenuti in passato, denunciando il caso limite del Broion, con alcune stalattiti di circa due metri abbattute per far posto a nuove vie di arrampicata, (pubblicate poi con risalto sulle riviste locali di alpinismo). L’autore del misfatto è ovviamente noto agli adepti, ma l’omertà di gruppo prevale. *

    Purtroppo, anche se il ruolo di Cassandre non ci ispira particolarmente, avevamo ragione: scomparsa quasi totale dei rapaci qui nidificanti (in particolare il falco pellegrino) dato che le pareti sono quotidianamente frequentate da scanzonati arrampicatori, rarefazione della caratteristica flora dei covoli, concrezioni deturpate o addirittura divelte ecc.
    Dopo aver invaso tutte le pareti attorno a Lumignano, si sperava che fosse finita, anche perché la stessa sorte era toccata anche alla scogliera sopra Barbararano e a quella di S.Donato.

    Invece ormai anche le pareti dei Covoli di Castegnero sono state ricoperte di chiodi a pressione, placche metalliche, catene per sicura.**
    Va ricordato che in questa zona, oltre a rapaci notturni -allocco- e diurni, al corvo imperiale e al picchio muraiolo (nel periodo invernale) in passato sono stati visti nidificare alcuni esemplari della rara rondine rossiccia (Hirundo daurica), diffusa soprattutto in Grecia e nella Penisola Iberica e quasi inesistente in Italia. Da quando era iniziata la colonizzazione dei Covoli di Castegnero sembrava proprio essere scomparsa. Così come era già avvenuto a Lumignano la vegetazione in prossimità e sulle pareti è stata estirpata. Sono quindi scomparsi anche rari esemplari di Saxifraga Berica, Campanula carnica, Lythrum hyssopifolia, Gnaphalium luteo-album, Adiantum capillus-veneris, Athamanta turbis…

    Le pareti beriche rimangono frequentatissime anche nei periodi di nidificazione. E quando l’arrampicata viene giustamente limitata a Rocca Pendice (Parco Regionale dei Colli Euganei) aumenta il numero dei “F.C.” [Free Climbing] che si riversano a Lumignano.

    Si conferma il fallimento del progetto di “autodisciplina” o autoregolamentazione (si può chiedere ai banditi di controllare gli assalti alla diligenza?) e anche la responsabilità morale di quelle associazioni che si occupano di alpinismo (ma evidentemente non di tutela ambientale) che hanno favorito lo sviluppo di una attività devastante per l’ambiente fragile della scogliera. ***

    Quanto alla pubblicazione di una “guida” per le arrampicate (l’autore è un noto cultore del trapano in parete) potrebbe rappresentare la pietra tombale per gli ecosistemi del versante sud-orientale. Dato che gli editori si dicono impegnati nella “difesa della Terra”, ci sembra lecito chiedere maggior coerenza e meno antropocentrismo, almeno in futuro. ****
    Unica soluzione, a nostro avviso: interdire ogni attività di F.C. (arrampicata “libera”) e rimozione della ferraglia per restituire un po’ di dignità alle pareti. Soprattutto STOP ad ogni nuova colonizzazione. Non mancano a livello europeo norme legislative in grado di proteggere un habitat così particolare; esiste anche una normativa che tutela le aree carsiche e i Colli Berici (con centinaia di covoli, doline, grotte …) vi potrebbero rientrare sicuramente.

    Elena Barbieri Gianni Sartori
    Movimento UNA (Uomo Natura Animali) Vicenza”

    Aggiungo (2016) qualche nota di aggiornamento:

    * Da parte dei FC si sostiene (omertosamente dato che sanno chi è stato) che le splendide stalattiti sarebbero “cadute da sole”. Ma guarda la coincidenza! Rimangono al loro posto per parecchie centinaia di anni e poi, tutte nello stesso periodo, “cadono” proprio quando le pareti del Broion vengono colonizzate da questi soidisant alpinisti e “amanti della natura”…
    In realtà il taglio è perfetto e ora dove prima stavano le stalattiti passano alcune cosiddette “vie”.

    ** Al limita del ridicolo i patetici cartelli stradali (come altro definirli) che in vari punti dei Colli indicano la “mini-palestra di roccia”: un parco giochi, appunto.
    *** Tra le ultime, devastanti, colonizzazioni quelle sopra Nanto, verso casa Leonardi, con tavolini ricavati abbattendo alberi, serie di scalinate dove prima la folta vegetazione consentiva la nidificazione (uno degli idioti responsabili ha raccontato di aver anche trovato un nido -di rapace, si presume- ancora con le uova, ma “abbandonato”. No comment…), eliminazione radicale di ogni arbusto (anche quelli protetti: pungitopo, scotano…) e fitta chiodatura dove prima si abbarbicavano edere quasi centenarie.
    Ulteriore aggravante: circa quattro anni fa, prima che iniziassero a disboscare, qui aveva nidificato una solitaria coppia (e presumibilmente l’ultimissima sui Colli Berici) di rondine rossiccia.

    ****Ennesimo scempio: la recente chiodatura anche nella Grotta della Stria, uno dei luoghi più affascinanti, almeno prima della colonizzazione, dei Colli Berici.
    Quanto ai ”Liberici”, anche se qualcuno si definisce “libertario” (perdonate loro, non sanno nemmeno quello che dicono oltre a quello che fanno!) e “insofferente di ogni limite imposto dall’autorità”, sono in realtà portatori (inconsapevoli ?) del virus “anarco-capitalista” (roba da far inorridire Durruti e Malatesta, chiaro), pionieri della definitiva trasformazione in merce (più o meno spettacolare) dell’esistente.
    Sembra proprio di doverlo dire: Lumignano e dintorni si sono ridotti a sfogatoio (“discarica esistenziale”?) di chi, evidentemente frustrato per una sua vita fasulla, artificiale , virtuale…cerca compensazioni e viene a sfogarsi (appunto!) “in mezzo alla natura” fregandosene dei danni collaterali delle sue ingombranti attività (invece di lottare contro il sistema che lo ha addomesticato, ma sarebbe chiedere troppo, ne convengo) e portandosi appresso tutta l’immondizia, anche simbolica, ingerita (per ulteriori chiarimenti si consiglia l’attenta lettura de “La Società dello Spettacolo” del compianto G: Debord; leggere anche tra le righe).
    E concludo con la solita raccomandazione: “Ma perché non andate a chiodare e arrampicare sui piloni dell’autostrada?”
    G.S.

    PS Il riferimento alla canzone di Pietro Gori (“Addio a Lugano”) NON era casuale…

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