Una riflessione sul futuro dei giovani

Non sottovalutiamo il fenome “Neets”, anche in Trentino.
Non credo che quando i CCCP scrissero la molto conosciuta canzone “Io sto bene”, avrebbero potuto immaginare quanto terribilmente profetica sarebbe diventata la strofa: “non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema non faccio sport” per molti giovani che vivono attualmente nel nostro paese.
L’acronimo Neet (Not in education, employment or training) che non è ancora entrato nel parlare comune, sta ad indicare il fenomeno dei giovani che non studiano, non sono impegnati in attività formativa e non lavorano e quindi spesso si trovano in una situazione di esclusione che può fargli rischiare anche la depressione in alcuni casi.
Una lettura attenta di questo pericoloso fenomeno può infatti permetterci di valutare le conseguenze sulle nuove generazioni del nostro sistema sociale, tutt’ora piuttosto statico che non crea capacità e quindi opportunità, in cui troppo spesso il futuro di un giovane non dipende tanto da volontà e talento, quanto dalla condizione ambientale o famigliare di partenza. Da analisi di esperti risulta infatti che la condizione dei Neet spesso sia legata alla modesta mobilità sociale e in particolare dalla scarsa possibilità dei giovani provenienti da famiglie con bassi livelli d’istruzione di percorrere tutto il percorso di studio fino alla laurea.
Anche in Trentino nel 2011, il tasso di disoccupazione giovanile fra i 14 e 24 anni ha raggiunto i 14% con un aumento nell’ultimo trimestre; certo il nostro contesto si differenzia molto rispetto alla gran parte del paese abbiamo ancora reti sociali e parentali solide, queste però con gli attuali tagli lineari che minacciano la nostra “Autonomia” potrebbero frantumarsi. I Neet in Italia sono circa due milioni in larga parte concentrati nelle regioni meridionali, l’anomalia del nostro contesto locale non deve farci abbassare la guardia verso un tema importante come quello della relazione fra la formazione a l’approccio all’ esperienza lavorativa delle nostre nuove generazioni, proprio in una fase di generale recessione come questa, che non sembra essere arrivata al termine.
Questi preoccupanti dati nazionali scaturiscono anche da scelte culturali e politche infatti l’Italia si colloca all’ultimo posto (0,2% rispetto alla media Ue pari all’1,4%) per le risorse destinate al sostegno al reddito, alle misure di contrasto alla povertà o alle prestazioni in natura a favore di persone a rischio di esclusione sociale.
Al sostegno per la disoccupazione e alle politiche attive per il lavoro è riservata solo l’1,9% della spesa, contro il 5,2% dell’Europa. Ma sono proprio queste le leve su cui si dovrebbe agire per ridurre il fenomeno. Per ora il nostro è un paese che investe pochissimo sulle giovani generazioni, è cosa nota. Ma attenzione pur non brillando per investimenti sociali la quota del PIL riservata alla spesa sociale non si colloca molto al di sotto della media europea.
E’ la composizione delle seguente spesa che denota una scarsa attenzione alle problematiche giovanili. Sarebbe importante che con più precise “politiche attive per il lavoro” e attraverso l’istituzione di un “reddito minimo garantito”, si provessa e dare un sostegno alla fragilissima situazione in cui si trovano molti  giovani.

Jacopo Zannini

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