Sait: 80 licenziati e maggior sfruttamento

Purtroppo, come era nelle previsioni il natale 2017 ha riservato un brutto regalo per i lavoratori del Sait di Trento: 80 licenziati e maggior sfruttamento per chi resta. Un brutto accordo arrivato dopo una finta trattativa, con scioperi (pochi) e spot, finalizzati a rivendicare, non il ritiro dei licenziamenti, ma un piano sciale da parte della PAT e della Federazione delle cooperative.
Di lottare contro i licenziamento nemmeno l’ombra e questa scelta dei confederali si è palesata quanto, in tutta fretta, hanno abbandonato la lotta per conquistare il CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ, l’unica scelta che poteva evitare i licenziamenti.
Un accordo che cancella conquiste importanti fatte in oltre trenta anni di lotta sindacali fatte dai lavoratori più anziani e da quanti oggi sono andati in pensione.
Ma questo è brutto accordo non solo per i lavoratori ma anche per la storia sindacale che per la prima volta si accetta che sia il criterio della produttività il criterio principale per individuare il lavoratore da licenziare.
Una scelta che tradotta dal sindacalese significa lasciare la libertà di licenziare ammalati, invalidi, anziani e quelli più riottosi ad accettare le imposizioni aziendali.
Una capitolazione del sindacato culturale, prima ancora che sindacale, il quale non solo ha rinunciato a lottare per il contratto di solidarietà ma ha permesso alla dirigenza Sait di scaricare sui lavoratori i loro errori e le loro scelte sbagliate e speculative.
Firmare i licenziamenti e chiedere le dimissioni del presidente appare un tentativo di nascondere le proprie responsabilità.
In ultima sintesi con pochi euro il Sait si potrà liberare di quanti ritiene una zavorra e si è ripreso, con il consenso sindacale, il pieno dominio delle condizioni di lavoro, degli orari e del salario dei lavoratori che sono (per ora) rimasti al lavoro.
Condivido il pensiero di quanti ritengono scellerato un sindacato, dopo che in assemblea non è riuscito a farsi dare un mandato, abbia usato una votazione sotto la supervisione dei capi aziendali per far votare dai lavoratori un accordo capestro puntando sulla paura e sul ricatto.
Una votazione (lpoca trasparenza, pressione dei capi, modalità di votazione) è stata criticata anche dalla Cgil, ma poi l’ha usata come scusante per sottoscrivere l’accordo non avendo il coraggio di assumersi il compito di contrastare le politiche disastrose di quel presidente per il quale si chiedono pubblicamente le dimissioni.
L’accordo Sait è l’ennesima conferma del fallimento di una politica sindacale che si limita alla sola riduzione del danno, rinunciataria e finalizzata alla ricerca di forme di sola assistenza verso i dannati di questo accordo. Un fallimento anche del sistema cooperativo che rinunciando alle sue prerogative che sono alla base della cooperazione ha praticato le logiche liberiste anticipate da Marchionne in Fiat.
Ma questo accordo non è solo figlio della mancanza di una politica commerciale in Trentino e quindi una grande responsabilità è anche dell’assessore Olivi il quale si è ben guardato di prendere di petto la vicenda licenziamenti Sait imponendo un tavolo che avesse al centro il CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ.
Uno strumento abbandonato subito, senza lottare da parte di un sindacato che fin dai primi giorni ha puntato ad un accordo al ribasso senza assumersi la responsabilità di chiamare i lavoratori alla lotta su un progetto alternativo a quello proposto dal quelli che hanno portato il Sait al collasso avanzando una richiesta semplice e chiara: Chiedere che a discutere su come salvare il Sait non fossero gli stessi che lo hanno portato al disastro e un direttore proveniente da Esselunga che ha sempre visto la cooperazione come fumo negli occhi.
Per questo ritengo fuori luogo la contesa fra i cgil-cisl-uil per attribuirsi i meriti di questo accordo nel tentativo di far dimenticare ai lavoratori che l’aver scelto la strada del piano sociale, anziché lottare per il contratto di solidarietà, non poteva che portare a questi risultati: 80 licenziamenti e aumento dello sfruttamento dei lavoratori che sono rimasti in azienda.
USB Trentino
Ezio Casagranda

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