NO TAV: Landservice rinuncia ai carotaggi

NoTav2Un buon risultato del movimento no tav in Trentino:
la Landservice rinuncia ai carotaggi.
La Landservice di Bolzano stava collaborando al progetto del TAV in Trentino. Una sua trivella era stata bloccata per tre giorni e tre notti nell’ottobre 2014 dai no tav e dalla popolazione di Marco di Rovereto. A parte due eseguiti di nascosto, gli altri cinque carotaggi erano stati sospesi grazie alla mobilitazione.

Il 27 ottobre scorso, una trivella della stessa ditta è stata portata di nascosto e scortata dalla Celere a sud di Trento (alle Novaline, sopra Mattarello) per riprendere i carotaggi funzionali alla nuova ferrovia del Brennero.
Sia il 28 ottobre, sia il 7 novembre la trivella è stata di nuovo bloccata, con alcuni no tav che vi si sono arrampicati sopra per tutta la giornata.
A difendere la trivella c’erano i reparti antisommossa di carabinieri e polizia, che il 7 novembre hanno manganellato, ferito e gasato decine di manifestanti. La Landservice, perseverando in questi lavori, era corresponsabile sia delle devastazioni previste dal TAV sia delle violenze della polizia.
Nel novembre 2015, a Bolzano, si era tenuto un presidio davanti alla sede legale della Lanservice per dire: ritirati dai lavori del TAV!
Oggi siamo venuti a sapere che la Landservice si è ritirata dall’appalto per i carotaggi funzionali al TAV (per i danni economici subiti e per la pericolosità dei lavori). Non credendo agli imprenditori illuminati sulla via di Damasco, per noi questo è il risultato della mobilitazione no tav. I blocchi della trivella, a Marco nell’ottobre 2014 come alle Novaline nell’ottobre-novembre 2015, hanno rappresentato dei passaggi importanti, sia dal punto di vista pratico sia da quello comunicativo. Dopo il presidio di tre giorni e tre notti a Marco, la partecipazione all’acquisto collettivo del terreno no tav di Acquaviva è più che raddoppiata in due settimana; dopo i blocchi della trivella alle Novaline, sia la fiaccolata di Mattarello sia il corteo del 14 novembre a Trento hanno avuto una composizione, un’intensità e un entusiasmo che derivavano proprio dall’elemento vivo della lotta. Nel silenzio in cui i promotori dell’opera vorrebbero tenere confinata la questione del TAV, la lotta popolare – in cui ognuno mette quello che si sente e che può – crea dibattito, sbugiarda la controparte e soprattutto alimenta la fiducia in ciò che si può fare insieme, dal basso.
Un movimento, se vuole essere un movimento di lotta e non semplicemente di opinione, non deve mai staccarsi dalla materialità del progetto che dichiara di voler impedire. Il TAV è fatto di decisioni politiche, di propaganda mediatica, di soldi pubblici; ma è fatto anche di ditte costruttrici, trivelle, recinzioni, cemento e tondini; è fatto di banche che lo finanziano (come la Sparkasse con il tunnel di base del Brennero) e di poliziotti che lo difendono. Concentrarsi solo su alcuni aspetti (quelli più comodi o più spettacolari) è un errore.
Sbugiardare le menzogne di un Rossi, di un Gilmozzi o di un De Col è necessario (l’abbiamo fatto per anni e continueremo a farlo); ma gli interessi in ballo sono troppo grandi perché possiamo essere così ingenui da pensare di convincere i promotori con i ragionamenti, i dati o il buon senso. Lorsignori possono anche sentirsi onnipotenti, ma non è così. Senza le ditte che eseguono i lavori (compresi quelli preliminari come i carotaggi), i discorsi istituzionali restano parole al vento. E infatti le “tregue” (cambi di progettazione, sospensione dei carotaggi) il movimento le ha conquistate sul campo, non certo per gentile concessione.
Una ditta che si ritira è dunque cosa buona a cui dare il massimo di pubblicità (non a caso la controparte ha taciuto la notizia riguardante la Landservice).
La strada è ancora lunga, ma ci sembra quella giusta. Lo abbiamo detto, scritto e urlato: la gente come noi non molla mai.

Besenello, 14 marzo 2016
assemblea dei comitati no tav del Trentino

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3 commenti

  • Gianni Sartori

    GIU’ LE MANI DA ARARAT!
    (Gianni Sartori)

    Minacce di sgombero calano come avvoltoi sul centro ARARAT di Roma.

    Perseguitato in Turchia, il popolo curdo rischia di subire altre angherie anche nella nostra penisola.

    Attualmente, oltre a subire vessazioni e repressione da parte del Governo turco, il popolo Curdo viene aggredito e minacciato dall’ISIS in territorio Siriano. Contro questi fascisti la popolazione si è opposta con coraggio e valore liberando la città di Kobane e salvando dal massacro altre comunità etniche e religiose presenti nella regione.
    Ma ora, si parva licet, anche il nostro paese sembra intenzionato a dare il suo contribuito nel limitare i diritti del popolo curdo, in particolare di quei curdi, scampati ai massacri, che forse pensavano di aver trovato rifugio in Italia.

    Come ricordavano alcuni cittadini. “da molti anni l’associazione ARARAT ONLUS svolge attività culturali e ricreative di grande rilevanza sociale; attività volte alla conoscenza della storia, della cultura e delle arti del territorio della Mesopotamia, zona compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, culla della civiltà Indoeuropea, ma anche delle radici del popolo Curdo”.
    E la denominazione stessa della Piazza dove risiede l’associazione (Largo Dino Frisullo) ricorda l’impegno di un cittadino romano che spese la sua vita senza risparmiarsi per la difesa dei diritti umani e civili del Popolo Curdo.

    Un pro-memoria: il Centro ‘Ararat’ prende il suo nome dalla nave omonima che approdò sulle coste italiane il 3 gennaio 1998, in Calabria. A bordo circa un migliaio di curdi: famiglie intere,donne, bambini…tutti in fuga per scampare alla repressione turca. Per un certo tempo vissero a Badolato (poi riconosciuto come villaggio curdo) e successivamente sono giunti a Roma.
    “Il centro Ararat -mi spiegano amici curdi – era nato nel maggio 1999 al Campo Boario, in un edificio inserito nel complesso in disuso dell’ex Mattatoio di Testaccio”. Quello che era soltanto uno stabile abbandonato divenne in breve tempo un dignitoso “spazio di accoglienza e di ospitalità, ma anche un luogo dove sperimentare forme di condivisione tra attività artistica e culturale, solidarietà civile e trasformazione del territorio”. L’edificio riportato a nuova vita venne ribattezzato con il nome di Ararat, il monte leggendario su cui si arenò l’Arca di Noè scampata al Diluvio Universale (portando in salvo tutte le specie animali e vegetali del pianeta). Ma Ararat era anche il nome dato alla prima nave carica di profughi curdi giunta in Italia. Da secoli il monte Ararat è un simbolo, una “Montagna sacra” per Curdi e Armeni, due popoli entrambi vittime dello stato turco.
    In molti, nel corso degli anni, avevano contribuito alla realizzazione di questo spazio: in primo luogo i profughi curdi che vi hanno trovato accoglienza, ma anche varie associazioni come: Azad, Villaggio Globale, Senzaconfine, le Donne in nero, gli architetti di Stalker, l’associazione “Un ponte per…” (oltre a un gran numero di artisti e volontari).

    Attualmente il centro è fornito di: sala da tè, cucina, barbiere, la sala di lettura (in cui è possibile leggere pubblicazioni sulla questione kurda e vedere il canale satellitare in lingua kurda Roj TV).

    Tutte le attività (tra cui anche corsi di lingua curda e corsi di ballo curdo) sono autogestite e autofinanziate dagli ospiti del centro con la collaborazione di volontari e volontarie esterni. Parallelamente alla funzione di accoglienza, Ararat “è uno spazio in cui coltivare coraggiosamente la propria cultura e identità (pur mutevole e in continuo divenire), attività che diventa fondamentale per non sentirsi completamente persi dopo aver varcato il confine del proprio paese con la prospettiva di non tornarci mai più, o di non potervi rientrare per un periodo molto lungo”. Infatti la comunicazione delle ragioni dell’esilio alla società ospitante, ma anche delle bellezze e del valore storico della cultura di provenienza possono fornire un significativo percorso di inserimento e legittimazione per delle persone che hanno perso molto, e che molto sono state costrette a lasciare dietro di sé.
    Non scordiamo che la Mesopotamia, culla della civiltà e luogo di scambio e di transito fra l’occidente e l’oriente, ha visto nel corso del suo sviluppo storico un moltiplicarsi di culture. In particolare è stata il luogo d’origine e sviluppo fra gli altri del popolo curdo. Analogamente qui, nel cuore della capitale d’Italia, Ararat rappresenta un ponte fra Oriente e Occidente, non soltanto un punto di riferimento per la diaspora curda nel nostro paese.
    Oggi Ararat rappresenta una parte importante della città di Roma e anche il Comune e le istituzioni cittadine finora sembravano riconoscerne – seppur informalmente – il ruolo di accoglienza.

    La funzione sociale svolta, ormai da anni, dall’associazione Ararat si concretizza nel costituire un punto di riferimento essenziale per i cittadini Curdi che in Italia vogliono chiedere asilo politico: a loro Ararat onlus fornisce servizi di orientamento e informazione per l’accesso all’audizione presso la Commissione Territoriale (Commissione che, per la Convenzione di Ginevra, riconosce la protezione internazionale per i rifugiati politici e di guerra). Tale attività è di aiuto e di supporto agli organismi istituzionali ed attua le linee di intervento per i rifugiati e richiedenti asilo, previste dalle direttive europee, senza oneri per lo Stato e per gli enti delegati e preposti all’accoglienza dei richiedenti asilo, quali i Comuni e Roma Capitale.

    Gianni Sartori

  • Gianni Sartori

    ARARAT IN CAMBIO DI ERDEMIR?

    (Gianni Sartori)

    “Ciao Gianni, sono d’accordo sul pezzo, l’unica cosa che bisogna sottolineare di più, marcatamente, è chi lo sta chiudendo, quello, non si capisce esattamente. La denuncia secondo me non si deve fermare sul concetto, perché si chiude , ma chi è il diretto responsabile della chiusura… (fare anche una velata denuncia chiedendosi se dietro tutto ciò, possa essere anche una richiesta malcelata delle autorità turche, accettate come sempre dalla debole posizione del governo italiano….)
    A presto”.

    Così mi scriveva, dopo aver letto l’appello “Giù le mani da Ararat” un amico che, per ragioni storiche di famiglia, conosce bene la protervia dei governi turchi nei confronti di curdi e armeni.
    Effettivamente, verificavo, dietro la richiesta di sgombero di ARARAT c’era il Comune di Roma in qualità di esecutore delle politiche renziane. Una conferma dell’intenzione di riprendersi tutti gli spazi pubblici autogestiti per poi, eventualmente, riassegnarli attraverso un bando. Una scelta chiaramente punitiva (con l’intento di far loro chiudere i battenti) nei confronti di quelle associazioni che avevano restaurato e ristrutturato, salvandoli dal degrado, spazi abbandonati dall’incuria istituzionale e privata, restituendoli alla collettività.
    Ma forse nel caso di ARARAT c’è anche di peggio.

    Coincidenza, proprio in quei giorni emergeva l’alleanza strategica tra la turca Erdemir, Marcegaglia e Arvedi (affiancati dalla Cassa Depositi e Prestiti) per il salvataggio dell’acciaieria ILVA di Taranto, in vista della scadenza del 23 maggio per la presentazione di offerte vincolanti. Un’alleanza vista con favore dal governo italiano che sembra aver ormai rinunciato all’ipotesi di una cordata tutta italiana a favore di Erdemir, primo produttore di acciaio in Turchia (45° posto nella graduatoria mondiale) con un patrimonio di oltre sei miliardi di euro. Definita “società integrata con una struttura che va dall’estrazione alla produzione di acciaio con siti produttivi a caldo e a freddo”, Erdemir è già fornitore di Marcegaglia a cui spetterebbe il compito di completare la cordata (con Arvedi e Cassa Depositi e Prestiti).
    I tempi coincidono: la visita di Erdemir all’ILVA di Taranto risale al 22 marzo, lo stesso giorno della lettera di Tronca con la richiesta di sgombero (l’ultimatum di dieci giorni scadeva il 2 aprile).
    Non si può quindi escludere che in cambio di un eventuale salvataggio dell’ILVA, Ankara abbia chiesto al servizievole governo Renzi di tappare la bocca ad ARARAT, una voce dissidente ancora in grado di denunciare i crimini contro l’umanità dello stato turco.
    Gianni Sartori

  • roberto

    I FUNZIONARI FLAI CGIL VOGLIONO CONVINCERE I LAVORATORI DEL PROGETTONE IL CUI CONTRATTO E’ SCADUTO DAL GENNAIO 2014 DELLE RICHIESTE….DELLA CONTROPARTE.

    Sono ormai più di due anni che è scaduto il contratto del Progettone e da parte della Provincia non c’è nessuna intenzione neppure di discutere le richieste dei lavoratori del Progettone.
    Già l’ultimo contratto fu vergognosamente firmato dai funzionari sindacali ,presente anche Janeselli ,ESCLUDENDO i delegati che non avrebbero accettato le miserie proposte.
    Per due anni anche saltando alcune assemblee del monte ore annuo i funzionari sindacali non sapevano cosa dire ai lavoratori cercando solo di tenerli buoni.
    La settimana scorsa durante un’assemblea in cui i funzionari sindacali hanno tentato di far passare i tagli ai diritti acquisiti proposti dalla controparte i lavoratori si sono infuriati minacciando anche di strappare la tessera.
    E’ questo il sindacato ? asservito ai poteri forti Provincia-Cooperative-CLA -Politica ,invece di tutelare i lavoratori cerca di manipolarli per mantenere le poltrone…
    Che vergogna !
    E’ vero che la crisi lascia sempre più lavoratori a casa potenziali beneficiari del Progettone,ma si fanno contratti anche di 2 mesi ! i soldi ci sono e vanno investiti per creare lavoro…non come fa Renzi e coloro nella CGIL che lo appoggiano dando i soldi agli industriali ed alle banche e togliendo diritti ai lavoratori.
    Il sindacato è dei lavoratori e chi è li solo per la cadrega con il timore di disturbare in Provincia o alla Federazione delle Coop torni a lavorare in fabbrica

    Roberto

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