Lavoro e salute: No ai ricatti

Il sequestro da parte della magistratura dell’Ilva di Taranto ed i successivi passi da parte della proprietà ha fatto emergere non solo la contraddizione fra diritto al lavoro e diritto alla salute ma che il modello ricattatorio di Marchionne viene ormai applicato su larga scala.
Per molti, troppi nel governo, sulla stampa e nelle organizzazioni sindacali insistono che ai lavoratori dell’Ilva non resta che scegliere se morire di fame o di cancro in quanto il profitto non può essere messo in discussione da nessuno.
La scelta del gip Patrizia Todisco messo a nudo una situazione fatta di sfruttamento dei lavoratori e inquinamento della città, divenuta – per molti cittadini di Taranto, ma soprattutto per le leggi italiane (quelle ancora non riformate da Monti) – ormai insostenibile.
Una scelta che costringe tutti a misurarsi con una realtà nuova, dove i tatticismi non sono più ammessi, e dove proprietà, ente pubblico (governo, regione e comune), lavoratori sindacati e cittadini devono prendere una posizione chiara da che parte stare.
Si deve scegliere fra profitto e benessere sociale. Ognuno deve dire se intende sostenere i profitti di padron Riva e della multinazionale o lottare per avere occupazione, salario, dignità e salute unificando in una sola lotta il diritto ad un lavoro dignitoso, il diritto alla salute con il diritto dei cittadini di non morire avvelenati dal profitto.
Nei giorni scorsi si è svolta la prima assemblea del comitato Cittadini e operai liberi e pensanti nel popolare quartiere a ridosso dell’Ilva per cercare di ripristinare un dialogo  fra operai e cittadini con l’obiettivo di cambiare una difficile situazione che ormai tocca inevitabilmente tutti, nessuno escluso.
Come riporta il Manifesto nella cronaca a cura di Gianmario Leone appare evidente che “..Il rimprovero maggiore rivolto dal comitato ai sindacati, in questi giorni, è sposato in toto da quei pochi operai che per la prima volta stanno trovando il coraggio di parlare. «Hanno lasciato la fabbrica in mano ai quadri e ai dirigenti: ci hanno lasciati soli invece di difenderci. Ecco perché non crediamo più alle loro parole: è arrivato il momento per noi di diventare protagonisti».
Difficile dargli torto, del resto. Lo stesso Gip nell’ordinanza ha bollato come «la più grande presa in giro dell’Ilva i vari atti d’intesa firmati negli anni (2003, 2004, 2005, 2006), dove sono stati presi impegni rimasti soltanto sulla carta». Impegni ratificati anche dalle istituzioni (ministero dell’Ambiente, Regione, Provincia e Comune di Taranto), ma anche e soprattutto dai sindacati, che avrebbero dovuto vigilare sulla realizzazione degli stessi.”
Poi sono state depositate le perizie dei chimici e degli epidemiologi che hanno smontato pezzo dopo pezzo le teorie e le favole pronunciate per anni compreso il famoso protocollo, azienda regione e sindacati dove l’Ilva veniva indicata come “un’azienda modello a livello europeo» mentre la città presenta la più alta incidenza di malattie e morti per inquinamento, anche nei bambini.
Affinché il tutto non resti confinato all’Ilva (non dimentichiamo le vicende dei mesi scorsi riguardanti l’Acciaieria Valsugana di Borgo) Alternativa per i Beni Comuni per il tramite di questo blog mette a disposizione uno spazio per continuare la discussione, che non riguarda solo Traranto ma il modello sociale che si vuole costruire. Riva è dentro la logica del modello Marchionne. Si è passati dal ricatto fra diritti e occupazione al ricatto fra salute e lavoro.
Un modello che dobbiamo combattere ad ogni livello senza lasciarci confondere da quanti sostengono che da noi è diverso o che Taranto è l’eccezione.

Ezio Casagranda.

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