Marco, Valsusa e Vicenza: una sola lotta

Sabato 31 agosto In Valsusa e domenica a Vicenza i manifestanti No Tav e No dal Molin hanno, con il taglio delle reti, simbolicamente dimostrato che anche la militarizzazione del territorio non è sufficiente a piegare la volontà di lotta di un’intera valle nonostante le campagne dei Ma$$ media a favore di un’opera ritenuta inutile, dannosa e ambientalmente devastante.
In Valsusa la manifestazione ha avuto una buona partecipazione e, secondo gli organizzatori, almeno trecento persone si sono mossi, sfidando i blocchi, da Giaglione e Chiomonte verso l’area alle spalle della ex zona archeologica della Maddalena per tagliare le reti di quella che ormai più che un cantiere è una cittadella militare.
Domenica mattina a Vicenza i “No dal Molin” hanno tagliato le recinzioni della base militare statunitense “Site Pluto”, a Longare, Vicenza. Una manifestazione davanti ai cancelli dove oltre al taglio delle reti i manifestanti hanno espresso la contrarietà alla base militare e la volontà di contrastare ogni forma di militarizzazione del territorio trasformando la provincia di Vicenza in una base logistica e di addestramento per l’esercito USA.
Nei giorni scorsi a Marco di Rovereto si è svolto il primo campeggio NO TAV del Trentino contro la costruzione di un’opera che, oltre a mettere in pericolo più di cento falde acquifere con i suoi 180 Km in galleria avrebbe un impatto devastante sull’intero territorio regionale dove sono previsti oltre 40 anni di cantieri con un costo che, secondo calcoli indipendenti, si aggira sopra i 60 miliardi di euro.
L’iniziativa del campeggio ha trovato una grande condivisione da parte dei cittadini, nonostante la provocazione dell’arresto di Massimo e Daniela, e una stampa poco attenta, per non dire ostile, ad ogni alle manifestazioni di dissenso verso sul modello Tav.
Nell’assemblea di sabato Gianfranco Poliandri e Luca Abbà hanno spiegato puntigliosamente le nove norme finanziarie del TAV per drenare il risparmio dei cittadini verso operazioni ad alto rischio e pericolose per l’economia Trentina, per il nostro futuro e quello dei nostri figli.
Il modello TAV attraverso l’aumento del debito pubblico, se da una parte garantisce ai grandi gruppi economico finanziari lauti profitti dall’altra affama la popolazione in quanto sottrae risorse agli investimenti produttivi ed allo stato sociale.
Infatti, in nome del pareggio di bilancio, dello spread e del fiscal compact il governo sarà costretto a tagliare la spesa sociale ed ogni forma di intervento in favore dell’occupazione, degli investimenti in ricerca e formazione per un nuovo sviluppo fondato sul senso del limite a partire da quello ambientale e delle risorse.
Nonostante la continua disinformazione messa in campo dai Ma$$ media la grande partecipazione al campeggio NO tav di Marco e le manifestazioni in Val susa e a Vicenza danno il segno che una nuova generazione di cittadini, di lavoratori, di studenti, di giovani, di universitari non è più disponibile a sacrificare il proprio futuro per garantire enormi profitti ai grandi gruppi di potere ed ai loro accoliti, sia politici che tecnici.
Il prossimo autunno, nonostante le complicità dei partiti e delle confederazioni sindacali, nel paese crescerà la volontà di lotta da parte dei lavoratori, ai quali questo sistema capitalista che ha rubato il lavoro e la dignità, e da parte di quei cittadini consapevoli che la difesa del territorio è parte fondamentale per costruire le basi di un nuovo modello sociale diverso dal quello capitalista.
Ezio Casagranda

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3 commenti

  • Gianni Sartori

    Anche se risale all’anno scorso (2013) invio questo contributo (purtroppo sempre attuale)
    ciao
    GS

    VICENZA: ALTRO CHE LE NUTRIE!
    NUOVA BASE AMERICANA E ALLUVIONI
    Con una tecnica del “capro espiatorio” da manuale, sindaci e assessori leghisti* (sostenuti dalle associazioni dei cacciatori) hanno elaborato una versione moderna del “gatto nero” medioevale (o di altre povere creature criminalizzate e sterminate nel corso dei secoli: lupi, salamandre, rapaci notturni…). Stavolta è toccato alla pacifica e vegetariana nutria, cugina del castoro, accusata di aver provocato con le sue tane il crollo degli argini (in particolare quelli del del Timonchio e del Bacchiglione un paio di anni fa e più recentemente quelli del Retrone).
    Altri presunti colpevoli, i tassi (praticamente scomparsi nelle campagne, sopravvivono solo sui Colli Euganei e Berici!) e le volpi. Per il momento nessuno ha ancora tirato in ballo le tane del martin pescatore. Tra le soluzioni proposte, rifornire di “buoni -benzina” (sarebbero già stati stanziati 13mila euro dalla Provincia) un migliaio di cacciatori vicentini (a cui finora venivano date solo munizioni) che potranno agire indisturbati contro i poveri roditori.
    Se “la domesticazione degli animali ha posto le basi del pensiero gerarchico e fornito un modello e l’ispirazione per lo schiavismo” (“Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto” Charles Patterson, Editori Riuniti – 2003), questo atteggiamento spietatamente specista evoca i metodi delle pulizie etniche.
    Quella delle nutrie è una balla. Gli argini si trovano a parecchi metri dalle rive e le poche nutrie rimaste in circolazione (quelle sfuggite alla campagna di sterminio iniziata già da qualche anno) preferiscono avere una tana sulle sponde, con facile e immediato accesso all’acqua.
    Il Coordinamento protezionista vicentino aveva condotto una propria indagine nelle zone colpite dall’alluvione verificando come “l’acqua abbia rotto esclusivamente in zone dove di recente erano stati effettuati interventi”. Per esempio il Timonchio (un torrente a fondo sassoso dove non si segnalano nutrie) “ha trascinato a valle imponenti lavori di consolidamento e imbrigliamento realizzati a Molina di Malo da pochi mesi”. Questo per quanto riguarda Caldogno e Cresole. In altre zone l’acqua ha semplicemente esondato, superando le barriere a muro esistenti (a Vicenza, Debba, Montegalda…).
    Sicuramente una delle cause principali delle devastanti alluvioni è la quasi totale cementificazione di una provincia dove il terreno non è più in grado di assorbire. Ormai si vorrebbe costruire zone artigianali e villette a schiera anche nel greto dei torrenti. In pochi anni il colore del territorio vicentino è passato decisamente dal verde dei campi al grigio dei capannoni. Chi in questi anni ha espresso allarme per il rischio inondazioni è stato, nella migliore delle ipotesi, tacciato di essere una “Cassandra” (dimenticando che, purtroppo per i Troiani, Cassandra aveva visto giusto). La situazione rischia di diventare ulteriormente drammatica nel Basso Vicentino, un’area a sud di Vicenza appena sopra il livello del mare, ricca d’acqua e destinata a diventare, grazie alla nuova autostrada in costruzione, un’immensa teoria di capannoni e depositi (nuove zone industriali tra Longare e Noventa, momentaneamente sospeso il progetto della Despar che avrebbe ricoperto un’area corrispondente a duecento campi, il nuovo poligono di tiro ad Albettone, oltre ad una infinità di caselli, raccordi, strade di collegamento, rotatorie, distributori…). Lo spettacolo lacustre di Montegalda, Montegaldella e Cervarese in seguito alla penultima alluvione dovrebbe aver mostrato cosa ci riserva il futuro se si continua a cementificare.
    Per Vicenza e Caldogno (uno dei paesi più devastati a nord della città), dove l’acqua aveva toccato livelli mai raggiunti, appariva evidente che un elemento decisivo era rappresentato dalla nuova base americana Dal Molin. Per chi non conosce la zona, va ricordato che alcuni fiumi a carattere torrentizio scendono dalle alte montagne (Carega, Sengio Alto, Pasubio, Novegno, Pria Forà. Summano…) al confine tra la provincia di Vicenza e quella di Trento raccogliendo acque copiose provenienti dalle piogge e dalle nevi. Tra questi il Leogra, l’Orolo, il Timonchio e l’Astico (quello che poi confluisce nel Tesina). Le acque scorrono anche in profondità, attraverso i depositi di ghiaia, tornando in superficie nelle risorgive come il Bacchiglioncello che sgorga a Novoledo. Diventa poi Bacchiglione prima di entrare a Vicenza dove riceve l’Astichello e, dopo Porta Monte, il Retrone e la roggia Riello. Dopo pochi chilometri, a San Piero Intrigogna, incontra il Tesina dove è appena confluita la roggia Caveggiara. Insomma. un ambiente dove l’acqua non manca, anche per la presenza di una falda acquifera tra le più grandi d’Europa. Forse non è stato un caso che gli Usa abbiano tanto insistito (come confermano documenti divulgati da Wiki Leaks) per appropriarsi del Dal Molin che “poggia” (galleggia?) sulla falda stessa.
    I lavori al Dal Molin (attorno a cui scorre il Bacchiglione alimentando, insieme alle piogge, la falda) hanno comportato, oltre alla cementificazione di una vasta area, uno spostamento del fiume, l’ampliamento dell’argine sul lato della base e l’inserimento nel suolo di un enorme quantità di pali in cemento (vere e proprie palafitte, stile Venezia) che, molto probabilmente, hanno funzionato come una “diga” sotterranea costringendo l’acqua a fuoriuscire. Con i risultati che sappiamo.
    In origine i pali (mezzo metro di diametro) dovevano essere solo ottocento, ma alla fine ne sono stati utilizzati circa tremila. Piantati fino a18 metri di profondità.
    Sembra che inizialmente i pali non reggessero proprio per la presenza della falda acquifera. Sarebbe interessante scoprire in che modo siano riusciti poi a piantarli.
    Un’altra considerazione sulla nuova autostrada a sud di Vicenza (A31, Valdastico Sud), costruita in quattro e quattro-otto, dopo anni di polemiche e contenziosi, nonostante i vincoli paesaggistici. Osservando una carta topografica salta agli occhi come sia destinata a diventare un ottimo raccordo tra le varie basi statunitensi. Se la Ederle era già prossima al casello di Vicenza Est, la nuova base Dal Molin è comodissima alla Valdastico Nord. Restava defilata solo la base Pluto, a Longare, ma qui ora sorgerà un casello. Un altro casello verrà costruito ad Albettone, dove è previsto un poligono di tiro che utilizzeranno soprattutto i militari.
    Altra ipotesi. Si sa che l’autostrada finisce in provincia di Rovigo, praticamente nel nulla. Però in quel “nulla” c’è una vecchia base militare abbandonata. Scommettiamo che non resterà tale per molto? Tra cementificazione, militarizzazione, sterminio di animali…tutto si tiene.
    Parafrando quanto viene attribuito a Seattle “quando avrete ammazzato l’ultima nutria, sradicato l’ultima siesa (siepe, in veneto), ricoperto di cemento l’ultima prato, vi accorgerete di non poter mangiare il denaro e affogherete (profetico! ndr) nei vostri rifiuti”.
    Gianni Sartori

    * ma ultimamente anche il PD sembra essersi allineato (v. il sindaco di Vicenza Achille Variati, novello Rumor)

  • Gianni Sartori

    Addio Lumignano bella…
    Ho ripescato questo vecchio articolo su Lumignano (penso risalga al 2006 o 2007). Il paesaggio e l’ambiente si possono distruggere in tanti modi: con opere devastanti come la A31 o la nuova base “Dal Molin” (ca va sans dire), ma anche con un costante, capillare, sistematico attacco agli ecosistemi. Più son piccoli, più sono fragili. Vedi il caso delle grotte: per far sparire una specie talvolta è sufficiente inquinare una sola cavità! Da questo punto di vista l’analogia con la zona di Lumignano è evidente. Flora e fauna che ancora sopravvivono in zona sono spesso esclusive (v. Saxifraga berica, Niphargus trevisiol…) o comunque molto rare (rondine rossiccia). Da questo punto di vista l’opera dei FC (a base di trapano, disboscamento e demolizione di concrezioni) negli ultimi venti anni è stata deleteria. Nella polemica sorta in rete (un dibattito di basso livello culturale comunque) si contrappone l’azione dei FC alla devastante autostrada A31 (per la serie “ma i veri problemi sono altri…”). Premesso che a suo tempo non avevo visto nessun FC vicentino o padovano partecipare alle pur modeste iniziative contro la nuova grande opera (per esempio a Ca’ Brusà si tennero tre giorni di incontri e dibattiti seri su come impedire l’ ecocidio), a parte il fatto che in rete (non pretendo che questi seguaci della Società dello spettacolo conservino un archivio cartaceo…caso mai è a disposizione il mio) possono leggersi un mio articolo contro la Valdastico risalente al 1996, a parte il fatto poi che sono stato tra i primi a denunciare la presenza di rifiuti tossici (cromo, nichel…) sotto la A31 (e il primo, forse finora l’unico, a denunciarne il probabile utilizzo militare v. su Frigidaire, su CSA Arcadia…), resto del parere che ognuno si deve prendere le sue responsabilità per quanto riguarda il degrado ambientale. Non solo chi devasta con le ruspe e cancella campi e siese. Ma anche sia chi deturpa le pareti con trapano e chiodi, allontana gli uccelli nidificanti (a Lumignano si arrampica in ogni periodo dell’anno) o sradica fiori e vegetali per “aprire una via”…(tradendo una mentalità colonizzatrice e frustrazioni varie).

    PS in merito alla polemica in rete: la scusa secondo cui “le stalattiti del Broion sono cadute da sole” tenetela per vostra sorella. Il taglio è perfetto e ora lì passano alcune vie con relativi spit…e i rapaci che vedete sono gheppi o f. pecchiaioli in transito (all’epoca delle migrazioni). Il falco pellegrino che in passato nidificava sul Broion è sparito (almeno come nidificante, può darsi che ogni tanto qualche esemplare si faccia un giro…). Quanto alla rondine rossiccia, è ormai completamente sparita dai Covoli di Castegnero (ora “parco-giochi”); una coppia aveva nidificato sopra Nanto fino a tre anni fa (2010-2011)…ma poi siete arrivati anche lì…
    Ma non avete mai pensato di andare invece ad arrampicare sui piloni di qualche autostrada…? Tanto, per quello che capite di ambiente…
    GS 82014)

    ADDIO LUMIGNANO BELLA…*

    27 giugno [2007?]

    […]
    Un Paese civile e rispettoso delle proprie “radici” avrebbe tutelato in modo molto attento questo suo patrimonio [le particolari formazioni rocciose tra Costozza e Villaga], unico anche per le varietà endemiche di flora ( la Saxifraga berica ) e di fauna ( il Niphargus trevisiol). Da molti anni invece questi luoghi sono diventati una sorta di parco giochi per giovani edonisti che hanno colonizzato con chiodi a pressione e ferraglia tutte le pareti della zona, in nome dell’arrampicata “libera”, eufemismo per dire “datemi un trapano e vado dove mi pare”.

    Sulle conseguenze negative per l’ecosistema di Lumignano (pareti, covoli e ambiente circostante) provocate da questa attività eravamo già intervenuti in anni passati, denunciando il caso limite del Broion, con alcune stalattiti di circa due metri abbattute per far posto a nuove vie di arrampicata, pubblicate poi con risalto sulle riviste di alpinismo. L’autore del misfatto è ovviamente noto agli adepti, ma l’omertà di gruppo prevale.

    Purtroppo, anche se il ruolo di Cassandre non ci ispira particolarmente, avevamo ragione: scomparsa quasi totale dei rapaci che sulle pareti (frequentate quotidianamente da scanzonati arrampicatori poco sensibili) non possono più nidificare, rarefazione della caratteristica flora dei covoli, concrezioni deturpate ecc… Dopo aver invaso tutte le pareti attorno a Lumignano, si sperava che fosse finita, anche perché la stessa sorte ormai è toccata anche alla scogliera sopra Barbararano e a quella di S.Donato.

    Invece anche le pareti dei Covoli di Castegnero sono state ricoperte di chiodi a pressione, placche metalliche, catene per sicura …Va ricordato che in questa zona, oltre a rapaci notturni e diurni, al corvo imperiale e al picchio muraiolo nel periodo invernale, in passato sono stati visti nidificare alcuni esemplari della rara rondine rossiccia (Hirundo daurica), diffusa soprattutto in Grecia e nella Penisola Iberica e quasi inesistente in Italia. Da quando è iniziata la colonizzazione dei Covoli di Castegnero sembra proprio essere scomparsa. Così come era già avvenuto a Lumignano la vegetazione in prossimità e sulle pareti è stata estirpata. Sono quindi scomparsi anche molti rari esemplari di Saxifraga Berica, Campanula carnica, Lythrum hyssopifolia, Gnaphalium luteo-album, Adiantum capillus-veneris, Athamanta turbis…

    Le pareti beriche rimangono frequentatissime anche nei periodi di nidificazione. E quando l’arrampicata viene giustamente limitata a Rocca Pendice (Parco Regionale dei Colli Euganei) aumenta il numero dei “F.C.” [Free Climbing] che si riversano a Lumignano.

    Si conferma il fallimento del progetto di “autodisciplina” o autoregolamentazione (si può chiedere ai banditi di controllare gli assalti alla diligenza?) e anche la responsabilità morale di quelle associazioni che si occupano di alpinismo (ma evidentemente non di tutela ambientale) che hanno favorito lo sviluppo di una attività devastante per l’ambiente fragile della scogliera.

    La recente pubblicazione di una “guida” per le arrampicate (l’autore è un noto cultore del trapano in parete) potrebbe rappresentare la pietra tombale per gli ecosistemi del versante sud-orientale. Dato che gli editori si dicono impegnati nella “difesa della Terra”, ci sembra lecito chiedere maggior coerenza e meno antropocentrismo, almeno in futuro. Unica soluzione, a nostro avviso, interdire ogni attività di F.C. (arrampicata “libera”) e rimozione della ferraglia per restituire un po’ di dignità alle pareti. Soprattutto STOP ad ogni nuova colonizzazione. Non mancano a livello europeo norme legislative in grado di proteggere un habitat così particolare; esiste anche una normativa che tutela le aree carsiche e i Colli Berici (con centinaia di covoli, doline, grotte …) vi potrebbero rientrare sicuramente.

    Elena Barbieri Gianni Sartori
    Movimento UNA (Uomo Natura Animali)Vicenza

    *il richiamo alla canzone di Pietro Gori NON è casuale

  • Gianni Sartori

    Le lotte in difesa della Terra nell’Esagono non sono di oggi e nemmeno di ieri…Sicuramente la ormai ventennale resistenza ai progetti di un nuovo aeroporto per la città di Nantes è stata un esempio per altre battaglie, compresa quella in cui è stato ucciso il compagno Remì. Una lotta paragonabile a quella della Val Susa contro il TAV o, per chi ha memoria, a quella dei baschi contro la centrale nucleare di Lemoiz…
    Questo articolo risale all’anno scorso, ma rende l’idea della portata di questa lotta a Notre Dame des Landes. Non è un caso che le manifestazioni di protesta per la morte di Remì siano state particolarmente dure a Nantes.
    ciao, GS

    NOTRE DAME DES LANDES: UNA LARZAC BRETONE
    (Gianni Sartori – settembre 2013)

    A Notre-Dame-des-Landes- dopo una breve parentesi dialogante in coincidenza con le ultime presidenziali – il confronto tra lo Stato francese e i manifestanti contrari al nuovo aeroporto si è fatto molto duro: barricate, cariche della polizia, lacrimogeni, arresti, demolizione di accampamenti e fattorie occupate.

    Nantes, capitale storica della Bretagna, città dell’Editto sulla libertà di culto (1598) e di Jules Verne, va legittimamente orgogliosa della sua cattedrale, del Castello dei Duchi di Bretagna e della Maison Radieuse di Le Corbusier. In passato coinvolta nella tratta degli schiavi (e forse anche per questo sede attualmente di molteplici iniziative contro il razzismo e la discriminazione), ma anche città martire durante l’occupazione tedesca. Basti pensare ai numerosi resistenti torturati e fucilati dai nazisti. Cinquanta partigiani nantesi vennero fucilati il 22 ottobre del 1941 (rifiutando di essere bendati), alcuni al “champ de tir du Béle” di Nantes, altri nella cava della Sablière e al Mont-Valerian (Parigi), come rappresaglia per l’uccisione del Feldkommandant tedesco Karl Hotz. A perpetuare la memoria dei “50 Otages”, l’omonimo monumento sul fiume Erdre, affluente della Loire.
    Ed è qui che all’alba del 25 giugno 2006 avevo appuntamento (non casualmente, dato il valore simbolico del luogo, monumento ad ogni Resistenza passata, presente e futura contro ogni forma di oppressione) con alcuni benévoles (volontari) a cui toccava il compito di montare il palco e i gazebo per una grande manifestazione. Guy, Paul e Jèrome, militanti ambientalisti e pacifisti da vecchia data, almeno dagli anni settanta, hanno vissuto per molti anni a Larzac ed erano anche a Genova nel luglio 2001. Nonostante le delusioni accumulate negli anni non demordono, continuano a lottare e hanno partecipato a quasi tutte le mobilitazioni che si sono svolte nel nord-ovest della Francia contro il progetto di un nuovo aeroporto a Notre-Dame des-Landes, a circa 20 chilometri da Nantes. Quella del 25 giugno 2006 rimane ancora una data significativa nella storia del movimento contro il devastante progetto. Nonostante il tempo piovoso, diverse migliaia di persone, in gran parte famiglie, si erano riunite a Fosses-Noires tra praterie e bocage. Un ambiente ancora incontaminato, protetto da migliaia di querce secolari. Dopo un pic-nic collettivo, i manifestanti si erano riuniti per formare una grande “fresque humaine”: AEROPORT, NO!”, mentre al microfono proseguivano gli interventi. I “resistants” di Larzac avevano portato il loro incoraggiamento agli “amis bretons” e alla loro azione in difesa della Terra. Erano intervenuti gli antinucleari, varie associazioni protezioniste, Greenpeace, la Confédération Paysanne e gli indipendentisti bretoni di sinistra (Emgann). Dominique Voynet, esponente dei Verts, ci aveva spiegato che quando era al ministero dello Sviluppo del territorio e dell’Ambiente aveva potuto “esaminare il progetto di Notre-Dame-des-Landes. All’epoca si ragionava in termini di aeroporti internazionali piuttosto che di piccoli aeroporti distribuiti sul territorio come quelli di Angers, di Saint-Nazaire o di Rennes. Ma ora -aveva continuato Voynet- con il petrolio a 70 dollari (2006 nda) la situazione è completamente cambiata”. Sulla stessa linea si era espresso Yves Cochet, altro esponente del partito ecologista presente alla manifestazione: “Il rincaro del petrolio non va a favore del traffico aereo, soprattutto di quello delle compagnie a basso costo”. E aveva concluso sostenendo che “noi abbiamo la speranza di poter seppellire questo progetto”. Molto meno ottimisti si erano mostrati Guy, Paul e Jèrome, i tre militanti con cui ero arrivato a Fosses-Noires: “Chi ha i soldi e il potere vuole a tutti i costi costruire l’aeroporto e probabilmente ci riuscirà”. In ogni caso “faremo di tutto per impedirlo”. All’epoca i fautori del progetto (sbagliando clamorosamente) sostenevano che entro il 2010 l’aeroporto già esistente di Nantes-Atlantique sarebbe stato “saturo”. Di diverso parere un portavoce della Confèdèration Paysanne secondo cui queste previsioni erano “completamente infondate, così come lo erano quelle che nel 1970 prevedevano cinque milioni di passeggeri entro il 2000. Invece siamo ancora a due milioni”. E proseguiva: “Sono 35 anni che questo progetto è nato, ma al momento di realizzarlo è già troppo tardi. Il degrado ambientale, l’aumento della temperatura, la fine ormai annunciata del petrolio sono solo alcune delle ragioni per cui questa opera è inutile oltre che nefasta”. Da sottolineare come l’area individuata per l’aeroporto si trovi in una zona di bocage ancora ben conservata, un corridoio naturale tra la valle dell’Erdre, la Brière e l’estuario della Loire dove esiste una eccezionale varietà di flora e fauna, con specie altrove scomparse da tempo (alcune varietà di tritoni e altri anfibi, per esempio). La realizzazione dell’opera, mi spiegavano “porterebbe alla distruzione totale di queste ricchezze naturali”. Infatti un aeroporto concepito per 9-10 milioni di passeggeri comporterebbe “più di 130mila movimenti all’anno tra decolli e atterraggi; 350 aerei di media ogni 24 ore; un aereo ogni 2-3 minuti dalle 8.00 alle 19.00; 30 aerei all’ora nelle ore di punta”.
    Questa la situazione che incontrai nel 2006. Inevitabilmente mi ricordava eventi analoghi degli anni settanta quando vaste estensioni di terreni agricoli in Bretagna e Loira Atlantica vennero sottoposte all’opera di “modernizzazione e ricomposizione delle terre” per favorire l’agricoltura meccanizzata a scapito del paesaggio tradizionale. Tra gli effetti collaterali, grave erosione dei suoli sui pendii, siccità e inondazioni. A cominciare dal 1973 Morlaix, Quimper, Chateaulin e altre località bretoni vennero regolarmente invase dalle acque, una conseguenza della distruzione del reticolo di terrapieni coperti di vegetazione e fossati (il bocage) che trattenevano gran parte delle precipitazioni (del resto non è quanto sta avvenendo da qualche anno nelle provincie di Padova e Vicenza a seguito della sistematica cementificazione -coorti di capannoni, basi militari come Pluto e Dal Molin, nuove autostrade come la A31- delle campagne tra Brenta, Tesina e Bacchiglione?)

    Intervenendo alle “Giornate Rurali di Nantes” (15-16 novembre 1974) Per Rhun ricordava quanto suo padre aveva risposto, in bretone ovviamente, ad un arrogante funzionario dei lavori pubblici.
    “Ma karez vo freuzet ker, ma-mout ganti!” (Distruggi anche la fattoria se vuoi, già che ci sei!).
    Dopo aver spianato un terrapieno e abbattuto alcuni olmi e castagni secolari, i bulldozer si accingevano a proseguire l’opera di devastazione del bocage intorno alla piccola fattoria della famiglia Rhun, a Trémèoc (Finistère). Lo stesso Per Rhun (divenuto in seguito docente di Geografia dell’Università di Nantes) avendo protestato di fronte ai cumuli di ceppi sradicati, veniva invitato seccamente a “parlare francese” per aver usato una “parola contadina” (in bretone) dal funzionario “egli stesso figlio di un contadino della bassa Bretagna, ma passato dalla parte del potere”. Una testimonianza che potrebbe tranquillamente riferirsi ai nostri giorni.

    Nel 2012 avevo poi seguito a Nantes un’altra clamorosa iniziativa contro il devastante progetto AGO (Aéroport du Grand-Ouest, più conosciuto come aeroporto internazionale di Notre-Dames-des-Landes): un mese di sciopero della fame, tra aprile e maggio, di due contadini, Marcel Thébault e Michel Tarin. Contrari agli espropri delle aree agricole, si erano rifiutati di negoziare i previsti indennizzi con la multinazionale Vinci responsabile del progetto. All’epoca appariva evidente che se il ballottaggio per le ultime elezioni presidenziali avesse riguardato soltanto la regione Bretagne (4 dipartimenti: Finistére, Cotes-d’Armor, Morbihan, Ille-et-Vilaine) e il dipartimento di Pays de la Loire (il 44, dove sorge Nantes), Hollande avrebbe avuto non poche difficoltà nel recuperare i voti di Europe EEVV (i Verdi francesi), Front de Gauche e Modem (per non parlare del NPA, Nuovo Partito Anticapitalista), tutti contrari al progetto sostenuto sia dai socialisti locali (Ayrault in particolare) che dall’Ump di Sarkozy. E’ ormai da un paio di decenni che la popolazione si mobilita con manifestazioni, proteste e occupazioni (“tra elicotteri, cariche e lacrimogeni, contro il cemento e la rassegnazione” si legge in un volantino) per la salvaguardia di questo territorio. E, va detto, non appare per niente intenzionata a desistere.
    Il bocage a nord di Nantes si caratterizza per la presenza di centinaia di grandi alberi secolari; 1650 ettari di terre agricole che con la realizzazione della “grande opera” verrebbero completamente devastate.
    Dopo aver firmato con i responsabili del PS di Loire-Atlantique e l’inviato di Hollande l’accordo per una moratoria sulle espulsioni dei contadini, l’8 maggio 2012 Thébault e Tarin avevano sospeso la grève de la faim. Tre giorni prima, il 5 maggio 2012, avevano incontrato il consigliere comunale Gaelle Berthand, gli esponenti di Saint-Herblain à Gauche Toute e di Breizhistance (la formazione della sinistra indipendentista bretone derivata da Emgann) che avevano commemorato il 31° anniversario della morte di Bobby Sands. E’ perlomeno singolare che una ventina di anni fa un amministratore locale socialista avesse dedicato al prigioniero politico irlandese (morto il 5 maggio 1981 dopo 66 giorni di sciopero della fame nel carcere imperialista di Long Kesh) una via di Saint-Herblain, piccolo municipio del nord-est di Nantes agglomération. Nella stessa zona vi sono altre strade intitolate a Juan Grimau (giustiziato dal franchismo nel 1963), a Sacco e Vanzetti, ai coniugi Rosemberg (vittime del maccartismo), al martire praghese Jan Palach e a Soweto, la città simbolo della lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Alla cerimonia di commemorazione del 2012 avevano partecipato, oltre a Saint-Herblain à Gauche Toute e Breizhistance, alcuni esponenti dei Verts, militanti del NPA, degli Alternatifs e del Comitato di sostegno ai grévistes di Nantes. Tutte organizzazioni di sinistra come è giusto che sia nel rispetto dell’identità politica e culturale del militante irlandese “divenuto un simbolo per tutti i resistenti e prigionieri politici del mondo”.
    Da rue Bobby Sands il corteo si era diretto nella piazza di Nantes (non lontano dal castello dei Duchi di Bretagna) dove da circa un mese i due hunger-strikes (a cui si erano uniti altri contadini, un docente universitario di Nantes e alcuni consiglieri regionali) esprimevano la loro opposizione all’aeroporto. L’accordo provvisoriamente raggiunto non implicava il blocco definitivo dei lavori per l’AGO, ma soltanto la sospensione delle espulsioni in attesa di una risposta ai ricorsi depositati sia sui lavori affidati al gruppo Vinci che sulla “questione prioritaria di Costituzionalità” (QPC). Ancora il 30 aprile 2012, intervistato da Ouest-France, Hollande aveva dichiarato che “prima di iniziare i lavori bisognava attendere che la giustizia si fosse pronunciata”. Un altro ricorso era stato depositato davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Oltre ad una apparente “disponibilità al dialogo” di Hollande, dietro alle quinte si intravedeva l’operato di José Bové e dei fratelli Cohn-Bendit. I noti esponenti ecologisti avevano coinvolto anche Louis Peillon, uno dei maggiori esponenti della battaglia giuridica dei contadini di Larzac (dove si intendeva realizzare un immenso poligono di tiro militare) contro lo Stato francese negli anni settanta.

    Dal punto amministrativo il dipartimento 44 (Loire Atlantique) fa parte della regione Pays de la Loire (e non della Bretagne), ma Nantes rimane la capitale storica dei Bretoni. Come scrivevano quelli di Emgann (la formazione della sinistra indipendentista bretone che si ispirava ai baschi di Herri Batasuna e da cui deriva Breizhistance) “il nostro paese, la Bretagna, resta amputato di un quinto del suo territorio in virtù di un decreto firmato da Pétain (il maresciallo collaborazionista durante l’occupazione tedesca nda) nel 1942 e successivamente fatto proprio da gollisti e socialisti PS”. Normale vedere scritte come “BZH 44” (dove BZH sta per Breizh) o assistere a Nantes a manifestazioni per una “Bretagne à 5 dèpartements”. Nello stesso giorno della sospensione dello sciopero, l’8 maggio 2012, Breizhistance e Union Democratic Bretonne (UDB) avevano organizzato una “catena umana per la riunificazione” sul ponte St-Nicolas tra Redon e St-Nicolas de Redon, al “confine” tra Bretagne e Loire-Atlantique.
    Dimenticavo. Singolare coincidenza, quel giovane amministratore socialista che dedicò una via al martire irlandese, altri non era che Jean-Marc Ayrault, divenuto in seguito maire (sindaco) di Nantes, deputato di Loire-Atlantique e attuale primo ministro. La sua designazione alla prestigiosa carica era stata interpretata come una contropartita offerta da Hollande all’ambizioso Ayrault in cambio della rinuncia al progetto AGO.

    E invece, dopo un periodo di momentanea tregua, ben presto la situazione era tornata incandescente. La giornata del 7 novembre 2012 merita di essere ricordata come una vera battaglia campale. Almeno cinque ore sono occorse ai due squadroni di gendarmes mobiles affiancati dai CRS per demolire le sette barricate innalzate sulla strada dipartimentale 281 (tra Notre-Dame-des-Landes e La Paquelais) nella zona dove si vorrebbe costruire una pista del contestato Aéroport du Grand-Ouest.
    Contro i manifestanti -che avevano acceso dei fuochi per riscaldare l’ asfalto e facilitare lo scavo di buche a colpi di ascia- decine di cariche, lacrimogeni, pestaggi, arresti…
    Come sempre, tra gli oppositori di AGO sia contadini che semplici abitanti del luogo, non solo quelli colpiti dagli espropri. A loro si sono aggiunti gli occupanti di alcune fattorie abbandonate, esponenti di Europe Ecologie-Les Verts e della sinistra indipendentista bretone (Breizhistance, ex Emgann), militanti anarchici e autonomi.
    Le espulsioni erano iniziate il 15 ottobre 2012 con un’operazione denominata, in maniera alquanto rivelatrice, “César”. Un vero autogol mediatico, se pensiamo che l’irriducibile villaggio di Asterix (quasi “eroe nazionale” in quanto antagonista dell’invasore della Gallia Giulio Cesare) era stato immaginato da Goscinny e Uderzo proprio in Bretagna.
    Prontamente i manifestanti hanno lanciato lo slogan “Veni, vidi, Vinci” ironizzando sul nome dell’azienda costruttrice, Vinci Airports. Ripetutamente ascoltata anche la variante “Veni, vidi, reparti”.
    Grande delusione da parte degli ambientalisti per la mancanza di disponibilità mostrata dal nuovo primo ministro, l’ex sindaco di Nantes Ayrault. Quanto al presidente Hollande, era inevitabile fare un confronto con Francois Mitterand: nel 1981, appena eletto, aveva fatto sospendere l’ampliamento del poligono militare di Larzac. Considerazioni ambientaliste a parte, non si comprende quale sia l’utilità di AGO visto che intorno a Nantes sono già in funzione ben due aeroporti, Nantes-Atlantique (pochi chilometri a sud) e Saint-Nazaire-Montoir (a circa 40 chilometri). Obiettivo dichiarato dei prossimi appuntamenti del movimento, rioccupare i terreni e gli alberi da dove i manifestanti sono stati forzatamente evacuati.
    (Gianni Sartori – 2013)

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